venerdì 6 settembre 2013

16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Settembre 1939.

In figura 1 
In alto, gli autori con lance, machete, armi e coltelli per la caccia. A sinistra, la loro capanna sulla Cocos Island. Sotto, un cinghiale fornisce cibo e pelle

Eravamo soli. Come vedemmo che la piccola barca della guardia costiera sbuffava rumorosamente allontanandosi verso l'alto mare realizzammo che i sogni d'infanzia e la cruda realtà sono due cose ben diverse, avevamo con noi cibo per solo tre settimane e la barca non sarebbero tornata che fra otto mesi. Questa avventura era cominciata come un viaggio di prova per determinare se eravamo adatti ad una vita da esploratori. Abbiamo pagaiato e navigato con la nostra canoa “ibrida” di 16 piedi fatta in casa giù dalla California, lungo la costa occidentale del Messico e dell'America Centrale, diretti verso Panama. Ci siamo immersi nell'oceano con 70 kg di attrezzature e 4,20 dollari in contanti in tasca. Invece di organizzare una grande spedizione abbiamo deciso di viaggiare da soli, cercare il cibo nella giungla e prendere dall'acqua e dalla terra le necessità della vita, ciò che ci serviva per sopravvivere. 
Abbiamo esplorato, abbiamo trovato l'avventura che cercavamo, raccoglievano e ci è piaciuto. 
Siamo arrivati fino a Puntarenas, in Costa Rica, e lì abbiamo scoperto che eravamo a soli 350 miglia da Cocos, l'isola deserta dei nostri giovani sogni. Forse noi siamo figli della civiltà, ma così ha vissuto Robinson Crusoe. Se lui ha potuto, noi possiamo!
Così la barca della guardia costiera ci ha lasciato nell'isola promettendoci di tornare dopo otto mesi.
Mentre remavamo verso le palme a riva di Wafer Bay ci siamo voltati a guardare il piccolo "Santa Rosa" che diventava sempre di più un granello sull'oceano mentre si dirigeva verso la terraferma. 
In quel momento ci siamo chiesti se avevamo fatto la scelta giusta. Tre settimane di approvvigionamento di cibo, alcuni semi, un magro equipaggiamento da campo, e non un vicino di casa a cui chiedere qualcosa in prestito in un'isola disabitata. 
I due anni di viaggi lungo la costa del Messico e dell'America Centrale ci avevano preparato a tutto questo? 
Avevamo sognato di approdare su questa isola per anni, ed ora non c'era più possibilità di tornare indietro. Il "Santa Rosa" era solo una piccola macchia nell'orizzonte, e come spiaggiammo la canoa nei pressi della foce di un piccolo torrente sulla spiaggia della Wafer Bay cominciammo ad esplorare i dintorni. Dietro la piccola piantagione di noci di cocco a lato del torrente ci trovammo di fronte al peggior spettacolo che avessimo mai visto nel nostro viaggio. Due baracche fatiscenti, forse appartenenti a vecchi cercatori di tesori, erano circondate da mucchi di sporcizia e rifiuti che indicavano chiaramente che chi aveva frequentato questo paradiso prima di noi aveva vissuto una vita poco felice, se non tragica. 
C'era solo una cosa da fare, mettersi al lavoro, una gran quantità di lavoro. 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura2 
Sopra, la realizzazione di un arco indiano a fuoco. A sinistra, attrezzatura da pesca fatta in casa utilizzando cucchiai e attrezzi da cucina. Il grande pesce in figura è un "wahoo," tipico del Pacifico. 

Come se a darci una mano, la pioggia iniziò a scendere a torrenti nel momento in cui iniziammo a lavorare per ripulire la zona. Mentre campeggiavamo sulla sabbia bianca e pulita della spiaggia, abbiamo trascorso lunghe giornate di duro lavoro di rimozione di questa macchia lasciata dall'uomo, e segregato la maggior parte di essa nella profondità del salmastro. Poi ci siamo messi a lavorare sulla nostra capanna, con solo un machete, un coltello da caccia, e un piccolo trapano, utilizzando parte del materiale recuperato dalle vecchie capanne e quanto fornitoci generosamente dal palmeto e la giungla. 
Il nostro rifugio era simile a quelli usati dagli indigeni lungo la costa della terraferma, aveva un tetto molto ripido di paglia per poter defluire il diluvio quotidiano di pioggia. La sera, con la luce del fuoco da campo, abbiamo realizzato gli strumenti per lavorare la terra, una zappa di legno, un rastrello e la pala da utilizzare nel nostro piccolo orto, piantato vicino alla spiaggia. 
Ci era stato detto che nessun orto poteva essere coltivato sulle Cocos e che tutte le verdure crescevano in alto a causa del terreno troppo ricco, ma un po' di esperimenti ci hanno dimostrato che la miscela di terra e sabbia lungo la riva era sufficientemente magra per produrre buoni raccolti di mais, fagioli, chayotes, e simili. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura3 
Ginger accanto alla pittoresca motrice sulla ferrovia del Nicaragua. Al centro, l'equipaggio del "Vagabunda" lungo il Canale di Panama, dopo tre anni di viaggio lungo la costa del Pacifico navigando su di una canoa realizzata in casa. A sinistra, finalmente spiaggiati in sicurezza dopo una tempesta, i viandanti si precipitano a coprire tutto prima che la sabbia faccia danni. 

Per scavare il terreno dell'orto abbiamo utilizzato diversi pezzi di ferro arrugginito che avevamo trovato in zona. Quando la nostra capanna venne completata l'abbiamo trasformata in un vero e proprio laboratorio di artigiani, fabbri, falegnami, tessitori, e di tutto quello di cui c'era bisogno. 
Siamo stati sempre impegnati in ogni minuto della luce del giorno, e spesso anche di notte. Circa la metà del nostro tempo l'abbiamo speso nella raccolta di cibo e materiali. Nell'entroterra abbiamo cacciato i piccoli maiali selvatici che ci hanno fornito carne e pelli di cui avevamo molto bisogno. 
Abbiamo raccolto i lunghi traversi di un vitigno per realizzare le funi di ancoraggio, e legni di vario genere per costruire mobili. 
Quando il tempo lo permetteva, varavamo la canoa e costeggiavamo le rive dell'isola, raccoglievamo le uova degli uccelli, e lungo le spiagge raccoglievamo tutto ciò che ci poteva servire in qualche modo. Il nostro campo presto assunse le proporzioni di una piccola fabbrica. Con dei piccoli ramoscelli avevamo realizzato un aggeggio a forma di imbuto nel quale mettevamo costantemente la cenere del fuoco. L'acqua piovana, che filtrava attraverso le ceneri, successivamente raccolta in un vecchio serbatoio da cinque galloni si sarebbe trasformata in lisciva per la concia delle pelli e la produzione di sapone. Accanto a questo attrezzo c'era un piccolo camino in cui un altro serbatoio da cinque galloni fungeva da bollitore per realizzare l'olio dalla polpa del cocco e dal lardo di maiali. 
Come in una catena di montaggio, accanto a questo c'era un essiccatoio realizzato in fango e ramoscelli per la stagionatura del prosciutto, della pancetta, e del pesce. Avevamo anche una piccola carbonaia, che ci ha fornito il carburante per la nostra fucina, grezza ma efficace, con il suo soffietto realizzato in pelle conciata. 
Infine la tavola da lavoro, costituita da due tronchi di palme tagliate, e un magazzino dove venivano stoccati i prodotti di questa linea di produzione. 
Ci si potrebbe chiedere perché una persona normale dovrebbe andare a vivere in un isola tropicale a lavorare dalla mattina alla sera, ma abbiamo trovato più piacere in tutto ciò che in gioco. 
È vero, abbiamo speso un sacco di tempo ad esplorare, a nuotare, e anche alla ricerca di tesori sepolti ma alla fine eravamo sempre ansiosi di tornare al campo, e di solito con qualcosa in mano che ci aveva suggerito l'idea di realizzare qualcosa di nuovo, magari solo un vaso di fiori o una saliera fatta con un pezzo di bambù oppure con l'eccezionale numero di gusci di noce di cocco una ciotola, un piatto, un mestolo o forse le stesse cose con dell'argilla fine. 
Dopo sei mesi di lavoro e di giorni felici, mi sono svegliato una mattina con un dolore acuto al mio fianco. Appendicite, ho dedotto, e il nostro vicino più prossimo era almeno a 350 chilometri di distanza. 
Mentre ci stavamo chiedendo come effettuare un salvataggio di fortuna, questo è arrivato inaspettatamente da un peschereccio di tonno il cui capitano e l'equipaggio avevano deciso di fermarsi a Cocos per un bagno in acqua dolce. 
Sogniamo di tornare ancora a Cocos Island e fare tutto da capo a meno dell'appendice! E 'solo una piccola isola tropicale, la vegetazione è fitta, rigogliosa, in rapida crescita e molto difficile da tagliare. Le precipitazioni annue sono tantissime. Ma c'è qualcosa in quel posto che ci fa desiderare di tornarci.
Circa due settimane dopo l'incontro con il capitano del peschereccio di tonni siamo ripartiti in canoa lungo la costa di Panama. Il nostro arrivo presso il Canale di Panama ha creato molto scalpore tra i funzionari locali. Era stato segnalato loro l'arrivo di una barca proveniente dagli Stati Uniti, (lunghezza sedici piedi), con tutte le sue carte in buon ordine e che stava per entrare nel loro paese.
Hanno sbrigato tutte le formalità come se fossimo una nave di grandi dimensioni. Tutto ciò fu molto bello, ma quello che accade dopo mise a dura prova l'equipaggio e il capitano del “Vagabunda”.
Avremmo dovuto attraversare il canale nei tempi previsti che, essendo lungo circa 49 miglia, richiedeva un tempo massimo fra le otto e le nove ore, invece ci mettemmo sei giorni. 
A Miraflores, Pedro Miguel, Darien, e in altri luoghi lungo il percorso, siamo stati ricevuti da comitati di accoglienza e invitati a partecipare all'ospitalità tipica di Panama. 
Alla fine abbiamo raggiunto Cristobal, il versante atlantico del Canale di Panama, e abbiamo ufficialmente concluso la nostra avventura, tre anni di avventure, un viaggio di prova per i nuovi esploratori. 
Ora siamo alacremente impegnati nell'organizzare il nostro prossimo viaggio, che si svolgerà nel cuore inesplorato della giungla Maya, tra il Messico e il Guatemala. 


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