giovedì 5 settembre 2013

16000 miglia con 4.20 $ in tasca

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine

16000 miglia con 4.20 $ in tasca, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Agosto 1939.

In figura 1 
Il tragitto di "Vagabunda" e gli autori che campeggiano per la notte. Nell'immagine sotto , l'autore con in mano i pesci catturati sulla costa tropicale del Messico. 

 Il tutto è cominciato con un sogno. Fin da piccoli Ginger e io avevamo voluto diventare esploratori, ma le difficoltà nell'organizzarsi ci avevano sempre fermato. Non c'erano libri su "come diventare un esploratore".  Abvevamo letto i racconti di molte spedizioni, ma nessuno ci spiegava come avevano fatto, per non parlare dei costi, dell'equipaggiamento necessario, la fatica per trasportarlo, le spiacevole differenze derivanti tra i membri delle spedizioni, e le difficoltà con i portatori e le guide locali. Sembrava tutto molto scoraggiante. 
Come sarebbe stato bello se fosse stato possibile andare ad esplorare senza dover perdere tempo con attrezzature ingombranti, disposizioni per guide indigene, e tutti gli altri impedimenti ad un vagabondaggio spensierato, per conoscere le regioni inesplorate del mondo . 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura 2 
Portatori con un carro di buoi durante il percorso a terra. Sotto, realizzazione di una mazza da golf in legno duro, e poi il nostro Golf Club sulla Cocos Island. La borsa è stata tessuta in fibra di palma. 

Poi abbiamo avuto un'idea su come fare. Rifornirsi di cibo, vestiti e riparo nei luoghi a margine del percorso non era altro che un problema di organizzazione. Fin dalla notte dei tempi i popoli della terra hanno fatto così, gli eskimesi, gli africani, gli abitanti delle isole dei Mari del Sud. La loro società, organizzata in modo semplice, gli aveva permesso di procurarsi ciò di cui avevano bisogno con quello che avevano a portata di mano. Perché non potevamo farlo anche noi? Almeno, valeva la pena di provare. 
Come banco di prova abbiamo scelto la costa occidentale del Messico e del Centro America perché le sue migliaia di miglia di giungle, coste e fiumi contengono molte aree inesplorate. 
Questo è stato l'inizio di un viaggio durato tre anni in una canoa di soli sedici piedi. Non abbiamo scelto la canoa per sfizio ma perché era il mezzo più pratico per viaggiare. In due avremmo potuto gestire anche una barca un po' più grande ma non avremmo potuto esplorare le baie poco profonde, i fiumi e l'entroterra. Tutto ciò sarebbe stato impraticabile con una barca più grande, così ci siamo organizzati per costruire ciò che sarebbe servito per i nostri scopi. 
Eravamo al nostro primo tentativo di costruzione di barche. Subito ci siamo resi conto che non avremmo potuto realizzare tutto da soli, l'albero, lo specchio di poppa, piegare i legni e fissare i rivestimenti e coprire il tutto con la tela, ci voleva uno del mestiere a cui chiedere consigli. 
La nostra barca doveva essere capace di solcare le onde, doveva andare a remi ma anche a vela, doveva essere sufficientemente forte da superare le tempeste e capace di portare noi e i nostri bagagli, doveva essere agile, vivace, leggera negli spostamenti ed infine facile da portare a remi. 
Stavamo veramente chiedendo troppo alla nostra nuova barca, così abbiamo deciso di rivolgersi ad un costruttore di barche, “voi potete costruire una barca a vela” ci disse, “oppure potete costruire un surf”, “voi potete costruire una canoa, un kayak o un dory”, “ma voi volete una combinazione di tutte queste cose e, come un animale, questo non può essere realizzato!”. 
Così siamo andati fuori nel cortile sul retro con un tubo e un paio di pale e in poco tempo abbiamo realizzato uno “stampo” in fango. In questo modo abbiamo iniziato a definire la forma “della barca che non poteva essere costruita”. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 3 
La "Vagabunda" pronta per essere rivestita in compensato. Il legno di noce e mogano è stato fissato con 7.000 viti in ottone. Al centro, accendere il fuoco come gli uomini preistorici. In fondo, a vela verso un villaggio messicano. 

Una volta completato lo stampo di fango, fino a che le linee aggraziate della barca non hanno mostrato le qualità di tutto ciò che avrebbe dovuto rappresentare, abbiamo affrontato il nostro primo problema: avevamo ottenuto le dimensioni esterne, come potevamo conoscere le dimensioni interne? Alla fine abbiamo avuto una brillante idea, abbiamo acquistato diverse scatole di fiammiferi, abbiamo accorciato i fiammiferi fino ad ottenere le dimensioni pari allo spessore delle costole, inclusi i raccordi e la tela, poi li abbiamo spinti nello stampo di fango. Successivamente abbiamo rasato il fango fino alla base dei fiammiferi, così abbiamo ottenuto le dimensioni interne della barca. 
Abbiamo cominciato tagliando le costole, dando forma alla deriva, alla poppa e alla chiglia piegando e fissando il legno con un forno realizzato con un bruciatore e un vecchio serbatoio vuoto di gasolio che fungevano da caldaia a vapore. Dopo diversi mesi in cui abbiamo affrontato una enorme quantità di problemi di costruzione abbiamo completato lo scafo impiegando più di 7000 viti in ottone e sprecando più del doppio del materiale necessario. Il ponte è stato rivestito con compensato aeronautico lasciando a nostra disposizione un ampio pozzetto protetto dall'acqua per due.   Abbiamo dotato la canoa di un “armo Marconi” con una superficie velica di circa 10 metri quadri, remi, un mezzo marinaio e un arpione, infine abbiamo cominciato con le attrezzature necessarie per il viaggio.  Il lavoro più impegnativo è stato quello di stabilire quali attrezzature portarsi dietro considerando il limite dei 70 kg che avevamo stabilito. 
A questo punto eravamo pronti per iniziare il viaggio, ma non del tutto. L'80% delle probabilità di successo di una qualsiasi spedizione dipende dalla preparazione. Per questo motivo abbiamo trascorso più di un anno lungo la costa della California facendo esperienza con la canoa soprattutto con mare agitato e tempesta, navigando o approdando in situazioni sfavorevoli con onde alte. Abbiamo nuotato, ci siamo allenati con la bici, e vissuto all'aria aperta arrangiandoci con il cibo in modo da prepararsi a tutte le situazioni possibili. 
Poi, un giorno di ottobre siamo salpati da San Diego, in California, senza aver dato pubblicità all'evento, con 4.20 dollari in tasca, salutati con affetto da parenti e amici e le osservazioni non troppo gentili degli scettici. Anche noi eravamo abbastanza scettici, ma non volevamo ammetterlo. Ciò che ci ha dato il coraggio di lasciare il porto è stata la grande preparazione che avevamo effettuato. 
Però questa non ci aveva preparato a dover procurarsi il pesce tre volte al giorno, dieta obbligatoria lungo le coste aride della bassa California. Un'altra preoccupazione ci è venuta dal fatto che la presenza di sorgenti d'acqua segnalate nelle carte geografiche si è rivelata inesistente. Alla prima sorgente asciutta abbiamo capito come avremmo potuto rifornirci d'acqua e sopravvivere. Setacciammo una spiaggia e raccolto contenitori di latta, tubi, rame da un relitto e altri pezzi di varia utilità, questi sarebbero serviti a realizzare l'attrezzatura per distillare l'acqua di mare quando le sorgenti erano asciutte. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 4 
In alto, l'attrezzatura per distillare l'acqua e poi "cercatori d'oro" Sotto, spintoni tra i frangenti. 

Il nostro aggeggio, una volta terminato, era composto da due latte arrugginite da 20 litri, interconnesse da un tubo, la prima latta serviva da caldaia per far bollire l'acqua di mare, il tubo di raffreddamento serviva a portare l'acqua dissalata nella seconda latta. Eravamo euforici dopo aver scoperto che il nostro aggeggio “salvavita” riusciva a produrre circa un litro d'acqua fresca all'ora.
Veleggiammo e remammo lungo costa durante il giorno e campeggiando e procurandoci del cibo in spiaggia alla sera, così, piacevolmente, lungo la costa della Bassa California fino al Golfo della California, la Tiburon Island e poi giù lungo la costa occidentale del Messico. 
Ogni giorno abbiamo imparato qualcosa di nuovo risolvendo problemi e iniziando nuove avventure.
Un giorno, mentre eravamo accampati nella spiaggia di Sihuatanejo , abbiamo deciso di esplorare le “pinnacle islands” , le Islas Blancas , a poca distanza dalla riva. Pagaiando lungo il fronte mare della più grande del gruppo abbiamo visto una grande grotta marina . Sembrava una buona idea entrare remando e la curiosità ci ha intrigato finché non ci siamo trovati nella più totale oscurità. Abbiamo illuminato la grotta con la nostra torcia di emergenza, uno straccio avvolto attorno a un bastone imbevuto di olio, e abbiamo continuato. Velocemente il tetto della grotta si è abbassato quasi fino alla superficie dell'acqua. A quanto pare però la grotta sembrava continuare oltre. 
Contrariamente a quanto la nostra migliore prudenza ci avrebbe dovuto consigliare decidemmo di proseguire oltre sfruttando la sinuosità delle onde provenienti dal mare aperto e ci trovammo in una grande caverna. Le pareti nere riflettevano la luce della nostra torcia, le onde gorgogliavano nel silenzio fino a che un bianco bagliore spettrale ci si presentò davanti, assieme alla fine della grotta, che si rivelò essere una spiaggia dalla sabbia liscia. 
Siamo approdati con un pensiero, “questo sarebbe il luogo ideale dove nascondere un tesoro!”. Ma dopo aver cercato un po' tra i massi abbiamo deciso di ritornare alla canoa poiché il petrolio della nostra torcia cominciava a scarseggiare, a quel punto ci siamo resi conto che questa non era più al suo posto. 
Mentre Ginger teneva la torcia e io mi sono tuffato nell'acqua scura e ho recuperato la canoa. Come abbiamo trascinato la canoa fin sopra la piccola spiaggia ci siamo resi conto che l'acqua era salita fino alle nostre caviglie e aveva cancellato le nostre impronte. Ci siamo subito resi conto che la marea stava salendo e che il passaggio verso la luce del giorno era sempre più piccolo. Una volta raggiunto il punto del passaggio le nostre paure si sono improvvisamente materializzate, la marea era salita fino al tetto, bloccando la nostra uscita. Era impossibile rimanere all'interno della grotta fino alla prossima bassa marea perché probabilmente saremmo annegati come topi, dovevamo prendere una decisione in fretta. 
Avremmo potuto nuotare sott'acqua, ma questo significava lasciare la nostra piccola imbarcazione, che ci aveva fatto attraversare tante tempeste, a se stessa. Abbiamo quindi deciso di decomprimere il pozzetto, buttato il nostro peso sulla falchetta, e lasciato riempire la barca d'acqua. Mentre la canoa è affondata fino al livello della superficie dell'acqua abbiamo preso la cima, fatto respiri profondi, e nuotato sotto la barriera. Una volta emersi dall'altra parte, abbiamo trascinato la nostra canoa piena d'acqua fino alla luce del sole. 
Ginger e aveva sempre sognato di andare alle Cocos, a Puntarenas in Costa Rica. Avevamo ricevuto il permesso per andare alle Cocos Island, che si trovano a 350 miglia al largo della costa. Le autorità però non vollero ascoltare la nostra volontà di tentare la traversata in canoa, così ci hanno portato fino a questo paradiso solitario sulla barca della guardia costiera, fino a "Santa Rosa". 
Ci promisero che sarebbero tornati a prenderci dopo otto mesi e poi se ne sono andati. Abbiamo remato verso la spiaggia di palme di Wafer Bay con sufficiente cibo per tre settimane. 
Come avremmo potuto sopravvivere in questi otto mesi su un'isola tropicale deserta? Nella seconda parte della nostra storia, che verrà pubblicata il mese prossimo, vi racconteremo della nostra vita di Robinson Crusoe sulleCocos Island.

..... speriamo di ritrovarlo!


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