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venerdì 23 febbraio 2024

REWIND: La tomba "dai colori brillanti" ci svela qualcosa in più sulla navigazione degli antichi egizi

Da un particolare della tomba "dai colori brillanti", da il Messaggero
In un interessante articolo de Il Messaggero ci è stata segnalata l'ultima scoperta in tema di antichità: Egitto, svelata la tomba dai colori brillanti: gli affreschi di 4.000 anni fa sono intatti.
Poiché sono sempre incuriosito da questi importanti ritrovamenti sono andato a vedere cosa c'era di bello e che ti trovo? Due fantastiche rappresentazioni di imbarcazioni in navigazione, con e senza armo velico.
Mi soffermerò solo sulla navigazione a vela in cui si intravedono particolari molto interessanti.
Il primo è l'albero composto da due pali probabilmente incrociati a "V" rovesciata per permettere che il pennone potesse ruotare in corrispondenza dell'incrocio posto nella sommità dei pali.
Di rilievo anche il particolare che i fascio di drizze, probabilmente utilizzate sia per tirare su l'albero che il pennone, sono tutte poste nella parte posteriore dell'albero, questo significa che, una volta issato, l'albero era bloccato a fine corsa posteriore dopo una rotazione, infatti non mi sembra di scorgere la presenza di uno strallo anche se potrebbe essere solo una limitazione dovuta al fatto che sarebbe parzialmente coperto dalla vela.
Prescindendo dalla doppia timoneria e dalla manovra sul pennone con due drizze per orientare la vela, noto due altri particolari davvero straordinari. Il primo è la figura del cosiddetto "trimmer" che in gergo nautico è il responsabile della messa a punto delle vele. Come potete notare è una figura posta in primo piano anche rispetto ai timonieri come per indicarne la superiorità o la maggiore importanza. Credo che questo ci debba far riflettere sull'importanza dei ruoli in navigazione e la loro evoluzione nella storia, infatti la regolazione delle vele è quasi certamente un compito assolutamente essenziale e determinate quanto quello del timoniere e del comandante. C'è da aggiungere inoltre che la sua dimensione cambia in funzione della manovra.
L'altro particolare è quello che rappresenta un componente l'equipaggio, notare solo nel secondo riquadro, che interviene con una lunga asta sulla vela quadra. Evidentemente la sua era una manovra condizionata dal cambiamento di mura della vela che interveniva solo quando necessario. Ovviamente il particolare posto solo nel secondo riquadro ce ne voleva indicare lo scopo, così come le dimensioni maggiori del trimmer in questo stesso riquadro.
Da notare anche il pennone di mezzana, se non ho sbagliato il termine posto in basso, quasi tangente al piede dell'albero.
Infine il componente l'equipaggio posto nell'estremità di prua doveva essere colui che indicava la rotta, tutto sommato una figura di secondo piano visto e considerato che nel terzo riquadro, nel corso della navigazione a remi, viene rappresentato nell'atto di scagliare la lancia con la funzione di soldato.
Quasi certamente la tomba doveva essere quella di un alto dignitario, forse un comandante di nave o di flotta o semplicemente il trimmer che sopra viene rappresentato seduto ad un tavolo delle offerte. Questa ultima eventualità ci potrebbe far capire l'importanza di certe "funzioni" in navigazione, insomma tutta una storia ancora da raccontare.




venerdì 29 aprile 2022

Il rilevo Torlonia di Portus, qualche considerazione personale

La tavoletta Torlonia di Portus, dal sito di Ostia Antica
L'interpretazione delle fonti, e non solo nella storia della navigazione, è uno dei miei interessi preferiti e su questo "rilievo di Torlonia", così ben descritto nel sito di Ostia Antica, non potevo esimermi da aggiungere qualche considerazione e dettaglio personali.
La prima osservazione, direi macroscopica, è che più di uno studioso parla di due imbarcazioni mentre, se questo è pur vero dal punto di vista figurativo, a mio parere mi sembra evidente che la nave sia la stessa rappresentata in due momenti diversi della navigazione quindi, partendo dalla parte sinistra a quella destra della tavoletta, si tratterebbe di una sequenza temporale. Questa nuova luce dovrebbe cambiare un po' di cose sulla interpretazione di quanto raffigurato e questo, per lo meno a me che osservo soprattutto ciò che concerne la navigazione, mi sembra abbastanza evidente. Per semplicità elenco per punti le differenze nei due momenti della navigazione:
1) le onde del mare: in mare aperto sono più grandi, il mare è più mosso, mentre all'interno del porto le onde sono più piccole ed il mare più placido;
2) il rimorchiatore in azione: salendo, la prima cosa che si nota è il rimorchiatore. Lo chiamo così perché questa è la definizione che alcuni studiosi gli avrebbero dato ma non sarei del tutto certo che si tratti di un'unità esterna alla nave, bensì potrebbe appartenere all'equipaggio e all'attrezzatura navale stessi. Prima di entrare in porto il marinaio sopra il rimorchiatore, posto a poppa della nave, blocca i timoni con una cima passante tra due fori interposti tra l'asta e la pala. Una volta ormeggiata la nave il rimorchiatore è fissato anch'esso a prua della nave ed è il motivo per cui non ci può essere certezza che questo non appartenga tanto al porto quanto alla nave, quindi si tratterebbe di un mezzo navale in dotazione con funzione di appoggio come i nostri "tender";
3) l'equipaggio: l'equipaggio cambia la sua composizione, nella nave in alto mare si notano il timoniere a poppa, anche se la figura è parziale, tre figure attorno ad un fuoco, che taluni studiosi asseriscono facenti parte di un cerimoniale anche se potrebbero essere semplicemente cuochi mentre cucinano per l'equipaggio, un marinaio alle drizze, un marinaio con funzione non identificata, un maestro d'ascia in azione, e un marinaio addetto al corvo, o alla passerella d'attracco. Nella barca oramai attraccata alla bitta d'ormeggio, che si trattava di una grossa pietra squadrata e forata per il passaggio della cima, si contano almeno cinque marinai intenti a riporre le vele e un marinaio che attraversa la passerella abbassata con un oggetto in mano e un'anfora sulla schiena.
4) le vele: interessante la rappresentazione di alcune attrezzature di coperta utilizzate ancora nei velieri di fine Ottocento e nelle vele storiche odierne. Le vele oltre alla rappresentazione della lupa  che allatta Romolo e Remo, a mio parere, contengono semplicemente un numero che potrebbe rappresentare la flotta o la nave, non gli darei altro significato simbolico poiché i numeri nell'esercito romano, e quindi nella flotta, indicavano un importante senso di appartenenza.
5) il faro e il porto: dovrebbero essere rappresentai un faro, piedistalli, sculture ed edifici tipici dell'architettura romana sui quali non entro in merito.
6) le figure allegoriche: l'occhio che sembra appeso al pennone non mi sembra una figura allegorica come le tre statue poste al centro e ai lati in alto e anche le tre donne rappresentate sulla estrema destra sembrano più che altro affaccendate in lavori di pulizia. Mi potrei sbagliare ma, essendo l'occhio appeso al pennone, credo che rappresenti una particolare unità come per esempio una vedetta. In mezzo a tutto c'è il dio Nettuno, la divinità di tutte le acque e questa è la figura simbolica per eccellenza.


venerdì 3 maggio 2019

Archeologia della vela, una disciplina sufficientemente approfondita?

La nave di Kyrenia, dal sito Pianeta Euro
La Nave di Kyrenia è il relitto di una nave mercantile del IV secolo a.C. La barca solcò il mar Mediterraneo durante il periodo di Alessandro il Grande e i suoi successori. Affondò in acque aperte a meno di un miglio dal porto di Kyrenia. Il reperto rappresenta l'unica nave arrivata fino a noi dell'antica Grecia. La nave viene considerata ben conservata per circa il 75 %. È collocata all'interno del Museo del naufragio antico nel Castello di Kyrenia. (Fonte Wikipedia)
Di questa nave è stata fatta una ricostruzione, come si vede nella foto, ed è raffigurata sulle monete cipriote da 10, 20 e 50 centesimi di euro. Mi farebbe molto piacere averle.


Vi chiederete perché ho scelto proprio questa nave per affrontare un tema così complesso quale è quello dell'archeologia della vela, tema a mio parere non sufficientemente trattato a livello scientifico nonostante la grande tradizione iconografica che abbiamo a riguardo a meno di quello che ho trovato nel sito di Aldo e Corrado Cherini, un seppur piccolo trattato estremamente interessante ed istruttivo.
La risposta sta in un alcuni mosaici che ho osservato con molto interesse ad Ostia Antica ed uno in particolare nella mia gita a Ravenna, in particolare nella Basilica di Sant'Apollinare.

Foto tratta da quelle della nostra gita a Ravenna
Il particolare che mi aveva colpito erano i riquadri nella vela, riquadri che seppur poco coerenti con quanto andremo a discutere appaiono simili a quelli visti sia ad Ostia che, appunto, nella rappresentazione della nave di Kyrenia.


Il Parco Archeologico di Ostia Antica e i suoi mosaici sono un'autentica meraviglia che nessuno dovrebbe non aver mai visto almeno una volta nella sua vita e poiché Ostia era un antico porto di Roma lungo il Tevere quivi si trovavano le sedi commerciali degli armatori che rappresentavano le loro insegne con dei meravigliosi mosaici in tessere bianche e nere, mosaici oserei dire caratteristici e caratterizzanti tutta l'arte figurativa di Ostia Antica.


Ma esistono anche altre raffigurazioni di navi romane attraverso i mosaici come quelle di Rimini.

Le navi di Rimini, dal sito Chiamamicittà, informazione di Rimini e Provincia
Come potrete aver osservato nelle immagini la complessità della rappresentazione effettuata dagli artisti non può certamente esaurire e spiegare completamente la tecnica con cui venivano effettuate le manovre nelle navi fenicie e romane e solo una ricostruzione come quella che è stata effettuata sulla nave di Kyrenia può aiutarci, almeno in parte, a comprendere.

Nave assiro fenicia rappresentata dall'Associazione Navimodellisti Bolognesi

Nell'immagine tratta dal sito dei Navimodellisti Bolognesi si si può ben osservare come erano composte le manovre della vela e come poteva avvenire la loro riduzione, attraverso una composizione di funi che coprivano l'intera superficie della vela sia in senso verticale che orizzontale.

Ricostruzione della nave di Kyrenia, disegno ricalcato su fotografia, dal sito dei fratelli Cherini
Nel sito dei fratelli Cherini, si fa qualcosa di più, da un'immagine fotografica ci viene rappresentato come presumibilmente  la vela veniva ridotta e come venivano effettuate le manovre. I Cherini ci spiegano che la riduzione avveniva si per diminuire la superficie velica a causa della forza del vento ma anche per rendere possibili determinate andature.
Insomma, un problema estremamente complesso che non posso certamente esaurire in questo modesto post ma certamente interessante e da sviluppare, non solo per il suo grande fascino dal punto di vista storico e archeologico ma anche per capire qualcosa di più sulla fisica della vela e sulla sua storia.


Un altro argomento di estremo interesse è anche quello di come erano strutturate le vele di prua e di poppa che gli osservatori più attenti avranno notato nelle immagini che ho postato, ma questa è un'altra storia.





giovedì 4 maggio 2017

Fuga da Pompei, una storia mai raccontata

Escape from Pompei, dal sito Australian National Maritime Museum
L'Australian National Maritime Museum ha organizzato un'interessante mostra che narra una storia poco conosciuta con reperti antichi di 2000 anni provenienti da Pompei, la Siclia, Napoli e Roma.

Una storia mai raccontata
Molte persone sono a conoscenza che la tragica eruzione del 79 dC che seppellì le città di Pompei ed Ercolano sotto enormi valanghe di cenere vulcanica e detriti ha preservato le vittime dell'eruzione per 2000 anni. 
Pochi, tuttavia, sanno che la marina romana ha tentato di evacuare le persone colpite dall'eruzione e il ruolo importante che ebbe questa operazione nel successo dell'Impero Romano. 
La flotta di soccorso venne guidata dal comandante della flotta romana Plinio il Vecchio, che non era un militare - era famoso per i suoi scritti, non per eventuali exploit bellicosi. 
Nel 79 dC aveva appena completato la sua "Storia Naturale", un'enciclopedia che ha fatto comprendere ai romani come era fatto il mondo intorno a loro - un'opera che è stata riferimento per secoli fino ai giorni nostri.
Sappiamo del tentativo di salvataggio attraverso le lettere del nipote Plinio il Giovane che aveva 17 anni al momento dell'eruzione e che viveva con suo zio e sua madre nella base navale di Miseno, davanti alla baia da Pompei. 
Gli fu chiesto solo molti anni dopo di scrivere un resoconto di quello che era successo a suo zio in quel fatidico giorno - è il resoconto di prima mano dell'unico superstite del disastro e il tentativo di salvataggio di civili da parte della marina romana. 
La mostra svela il ruolo della marina romana e l'importanza che ebbe per l'impero romano. 
In questa mostra potrete scoprire come un uomo non militare, come Plinio il Vecchio, sia potuto diventare un comandante, quali erano le sue navi e come era composto il suo equipaggio. 
Pompei era un porto marittimo e fluviale, protagonista del boom del commercio che portò alla padronanza del mare di Roma.

(maldestramente tradotto ed interpretato da me medesimo da: Australian National Maritime Museum.)


lunedì 12 dicembre 2016

Stefano Medas, REX IUBA

REX IUBA, dal sito Mondadori
Ieri Stefano Medas, archeologo e autore del romanzo Rex Iuba, mi ha scritto per fornirmi qualche interessante dettaglio in più sul capitello la "Pesca Miracolosa, a vela, nella Pieve di Romena" di cui avevo scritto tempo fa nel blog. 
Mi ha fatto molto piacere che Stefano mi abbia contattato perché le tantissime pagine visualizzate non suscitano nei lettori un gran desiderio di confrontarsi sugli argomenti che via via gli sottopongo. In più se chi mi contatta è un personaggio pubblico, o uno studioso, questo mi riempie di orgoglio e soddisfazione, come quando il Dipartimento di Storia delle Esplorazioni Geografiche di una nota Università italiana mi contattò per chiedermi un parere tecnico su una delle più grandi ed importanti rotte che i nostri navigatori abbiano mai solcato, nel corso della scoperta dell'America, disquisendo su uno dei basilari documenti della navigazione del passato e della cartografia, la Cosmographiae Introductio.
Ma torniamo a Stefano e a quello che mi ha scritto, invitando anche tutti voi ad andare a vistare la meravigliosa Pieve di Romena ad ammirare quello straordinario capitello:

"Buongiorno Francesco, 
ho incontrato il tuo blog TS cercando informazioni sul capitello della pieve di Romena in cui compare la scena della pesca miracolosa, con Pietro e Andrea. Ho visitato la pieve proprio ieri, scoprendo questa inconsueta iconografia, particolarmente significativa per il fatto di appartenere al XII secolo, epoca avara di iconografie navali. In effetti, pur essendo molto stilizzata (i personaggi corrispondono bene ai canoni espressivi del nord Italia di quest'epoca, dal momento che la pieve sembra esser stata realizzata da maestranze lombarde), ci mostra due aspetti interessanti: 
1. la dominante diffusione dell'armo latino, in particolare nel naviglio minore, come quello da pesca;
2. la presenza del timone o governale laterale di tradizione antica, non ancora sostituito dal timone centrale di provenienza nord-europea (in effetti, in area mediterranea il timone centrale si affermerà lentamente, con fenomeni di persistenza del sistema antico, o di entrambi i sistemi insieme, fino a tutto il XIV e gli inizi del XV secolo). 
Che si tratti della scena evangelica della pesca miracolosa mi sembra confermato dalle linee seghettate che indicano il mare e che arrivano ad occupare quasi tutto lo scafo, per evidenziare la linea di galleggiamento molto alta, dunque il fatto che la barca fosse molto carica (di pesce, evidentemente). 
Ho quindi fatto un tour nel tuo blog, trovando notizie interessanti, tra libri, eventi e vicende. Ho appreso lì, tra l'altro, della morte di Elvstrom, personaggio che ho sempre ammirato moltissimo, essendo io derivista da quarant'anni. 
Considerando gli argomenti e interessi del blog (dove ho trovato con piacere le recensioni ai lavori degli amici Valerio Manfredi e Fabio Fiori), desideravo segnalarti un mio recente romanzo, il primo che ho scritto, dopo anni di pubblicazioni scientifiche dedicate alla storia della navigazione e all'archeologia navale. 
Si intitola REX IUBA e narra della spedizione che portò alla scoperta delle Isole Fortunate - le nostre Canarie - alla fine del I secolo a.C. Un'avventura interamente dedicata alla navigazione e al tormentato rapporto dell'uomo mediterraneo con gli spazi atlantici. 
Grazie per la pazienza. Un cordiale saluto

La Rachele mi ha già detto che sarà il suo regalo di Natale perciò, non appena avrò letto il romanzo di Stefano, ne farò una recensione qui nel blog. Questo è quanto si scrive del romanzo nel sito della Mondadori:

"Roma, 46 a.C. Nel corteo trionfale di Cesare dopo la campagna d'Africa sfila un giovanissimo orfano di guerra: è Giuba, figlio del re di Numidia, sconfitto dai cesariani. Un triste futuro lo attende se non fosse che gli dèi, da cui dipendono le sorti degli uomini, hanno in serbo altri progetti per lui: a Giuba è riservato un destino che lo porterà a riconquistare gli onori del suo rango. Viene infatti accolto nella famiglia di Augusto e cresciuto secondo il costume romano. Nel 25 a.C. è lo stesso Ottaviano ad assegnargli il regno di Mauretania, in Nordafrica, e a dargli in sposa la bella e sensuale Cleopatra Selene, figlia di Cleopatra e Marco Antonio, una donna colta e raffinata, legata al marito da un sentimento profondo. Appassionato di arte e letteratura, di filosofia e geografia, non pago dei preziosi volumi custoditi nella sua immensa biblioteca, Giuba promuove diverse spedizioni esplorative, spinto dalla sua inestinguibile sete di conoscenza. Fra queste, la più avventurosa e rocambolesca lo condurrà, insieme ad alcuni amici fidati e a una settantina di marinai abili con i remi quanto con la spada, alla scoperta delle Isole Fortunate, le odierne Canarie. Lì, in quei luoghi sospesi fra mito e realtà, agli estremi confini del mondo conosciuto, i protagonisti della spedizione scopriranno una natura spettacolare e selvaggia, incontreranno un popolo che non conosce il denaro e l'avidità, assisteranno ai fenomeni prodotti dall'immane potenza dell'Oceano, nelle cui viscere ribollono fiumi di lava e dimorano mostri marini. Con passione e competenza, restituendoci vividi i colori dell'epoca, Stefano Medas ci accompagna lungo le coste dell'Africa, in un itinerario costellato di pericoli che è prima di tutto un viaggio dell'anima, dal quale si torna inevitabilmente trasformati e consapevoli che il luogo ideale nel quale rifugiarsi per sfuggire ai nostri tormenti risiede, prima ancora che in qualche terra remota, in noi stessi."

Essendo Stefano un archeologo subacqueo,

Stefano Medas è archeologo subacqueo e navale e ha condotto numerose campagne di scavo su relitti e siti sommersi. È stato docente a contratto di Storia della navigazione antica all'università di Bologna ed è attualmente presidente dell'Istituto Italiano di Archeologia e Etnologia Navale. Ha pubblicato più di cento articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali, oltre ad alcune monografie, tra cui: La marineria cartaginese - le navi, gli uomini, la navigazione, De rebus nauticis - L'arte della navigazione nel mondo antico, Lo Stadiasmo o Periplo del Mare Grande e la navigazione antica. Da anni tiene corsi di vela con le barche tradizionali. Rex Iuba è il suo primo romanzo.

non ho potuto fare a meno di annoiarlo ed aggiornarlo in merito a tutte le mie ricerche, sulla storia della mia famiglia, del trisnonno ingegnere ed archeologo a Sovana, Chiusi, Poggio Gaiella e Roselle, del biadaiolo di Firenze e il suo Specchio Umano ed infine della Via Romea Imperiale da cui noi tutti Lenzi proveniamo, dimenticandomi però la storia più attinente al suo mestiere, cioè che avevo i nonni materni naviganti e armatori in quel della mitica isola di Procida e i suoi gatti. Ma cosa c'entrano i gatti? C'entrano, c'entrano, ma questa è un'altra storia.
La chiacchierata con Stefano mi ha fatto ricordare che la nostra è una civiltà straordinaria e antichissima.
Nella BIBLIOGRAFIA di Stefano, tra le altre, ho trovato una pubblicazione che non può non attizzare l'interesse di tutti i miei assidui lettori, Le Barche Tradizionali della Laguna Veneta.

BarcheTradizionali della Laguna Veneta, Stefano Medas


giovedì 4 agosto 2016

Resti di antichi frangiflutti: l'antico Porto di Classe

L'Antico Porto di Classe rappresentato nella Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna
Antico Porto di Classe, abbiamo potuto verificarne l'esistenza, anche se non abbiamo visitato gli scavi, nella nostra gita a Ravenna. Inutile dilungarsi nella descrizione dei luoghi dei Ravenna, già Patrimonio dell'UNESCO, che lasciano il visitatore senza fiato. Questa è la FOTOGALLERY della nostra gita.
Partendo da uno degli stupendi mosaici presenti nella Basilica di Sant'Apollinare Nuovo abbiamo approfondito l'argomento con l'intento di ritornarci non appena il progetto completo del parco archeologico del porto sarà terminato.

L’insediamento di Classe nasce in età romana, quando Ottaviano Augusto stabilisce a Ravenna la flotta incaricata della difesa dell’Adriatico. L’abitato prese il nome di Classe (che deriva dalla parola latina Classis, che significa flotta) solo in epoca tardo imperiale e bizantina, quando assunse l’aspetto che si vede nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna (VI secolo): circondato da mura, probabilmente erette nel corso del IV secolo, con una porta urbica e il canale portuale di epoca romana, rimpicciolito e parzialmente chiuso, trasformato esso stesso nel porto di epoca bizantina, nel quale le navi, ormai solo commerciali, potevano entrare e uscire esclusivamente usando il flusso della marea. Nel corso del V secolo, con il nuovo ruolo di capitale svolto da Ravenna, la civitas Classis assunse a sua volta una funzione fondamentale come sbocco commerciale e probabilmente di baluardo militare verso il mare. (questo e altro su: parcoarcheologicodiclasse).

Nell'affresco di Sant'Apollinare Nuovo mi ha lasciato incuriosito la rappresentazione della vela della barca posta in alto costituita da rettangoli conformati similmente a quelli delle mura della città. Forse che l'autore volesse dare un significato simbolico a quella vela? Chissà!
Ma c'è anche un'altra cosa importante che per mancanza di tempo non abbiamo potuto vedere a Ravenna, la Pietra Tombale del Costruttore di Navi Publio Longidieno esposta al Museo Nazionale. Da questa stele, della quale ne parlano anche nell'interessante blog dell'Associazione Arbit, si può capire quanto l'arte e la tecnica del maestro d'ascia siano rimaste immutate nei secoli, fin dalla notte dei tempi, tanto che la rappresentazione dello strumento di lavoro è del tutto simile a quella dei giorni nostri, ma anche la composizione stessa della chiglia e la tecnica di giunzione delle parti.

Stele funeraria di Publio Longidieno, dal sito dell'Associazione Arbit
Nell'attesa di tornare a Ravenna a scoprire altri tesori ci accontentiamo di osservare l'Antico Porto di Classe dall'alto grazie a Google Maps.


venerdì 29 luglio 2016

L'Ara degli Etruschi a Socana


Ieri pomeriggio abbiamo accompagnato Tommaso al campo scout e, di ritorno, ci siamo fermati a visitare l'Ara degli Etruschi in prossimità della Pieve di Socana, in Casentino.
Sono rimasto strabiliato per la sua rara bellezza e credo che, anche se forse è la meno conosciuta e fuori dai normali circuiti turistici - archeologici, questa sia l'ara etrusca più bella che sia rimasta. A parte l'Ara della Regina di Tarquinia, are etrusche simili a quella di Socana e risalenti allo stesso periodo si trovano nei pressi di Marzabotto, lungo la direttrice che portava dalla Tuscia verso il Mare Adriatico e la Pianura Padana, le rotte commerciali del grano e marittime privilegiate dagli etruschi prima che si imponessero quelle etrusco - romane del Mar Tirreno.

L’Ara e il Tempio etrusco sono stati ritrovati in seguito ai lavori di restauro della chiesa di Pieve a Socana, effettuati negli anni 1966- 1972 dalla sopraintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Arezzo. L’Ara fu ritrovata nel settembre del 1969: è molto ben conservata, ma manca la parte superiore. Sul lato destro dell’Ara erano ancora presenti rivoli di grasso attaccati alla pietra: nell’ara si sacrificavano capretti, agnelli, cinghiali di cui sono stati trovate ossa e denti. L’Ara si trova davanti al tempio, è a pianta rettangolare ed è lunga mt 4,99 x mt 3,75; al centro presenta una cavità rotondeggiante, costruita su tre piani ed è un’ “Ara sacrificale” dove gli animali venivano sacrificati alla dea Tinia Minerva alla quale era dedicato il tempio. Sono stati inoltre ritrovati 12 scalini in “tufo locale” con sotto la pietra d’appoggio che permettevano l’accesso al tempio il quale misurava mt 40 x mt 18,40. Davanti ad esso sono state trovate delle tegole di gronda, losanghe e ante-fisse, quest’ultime risalgono alcune al V secolo a.C. e hanno forma di medane, altre al III secolo a.C., sono di epoca ellenistica e hanno la forma di una donna che rappresenta la testa della dea Minerva. Una delle antefisse più belle è la testa di una donna con capelli lunghi fino alle spalle, ondulati, occhi neri e una collana che ne orna il collo, risalente probabilmente al 470-460 a.C. (Via: armanduck)


Testa della Minerva ritrovata a Socana, via Wikipedia
Se da un lato abbiamo potuto constatare la bellezza di questa area archeologica, sul suo stato di conservazione siamo rimasti assolutamente delusi dalla carenza di informazioni ed indicazioni a riguardo. Non una segnalazione, non un cartello sulla sua storia. La scalinata all'antico tempio che si trova sotto la Pieve l'ha vista per caso Elena, io non mi sarei neppure accorto che esistesse.

La scalinata in tufo che apparteneva al tempio della Mineva si trova dietro quella grata in ferro
Tutti siamo a conoscenza quanto gli etruschi  prediligessero il tufo come materiale da costruzione ed il fatto che in zona fosse presente fa presupporre che questa non sia l'unica costruzione di rilevo realizzata in quest'area del Casentino. Gli stessi toponini: Rassina, di evidente derivazione etrusca, Tulliano, antica villa romana, Santa Maria del Bagno, forse antichissime acque salubri e termali può far pensare che alcune ricerche archeologiche potrebbero essere approfondite.

L'antica scalinata del Tempio nascosta sotto la Pieve di Socana
Mi auguro inoltre che tutta l'area venga conservata e promossa con maggior attenzione, purtroppo anche voi, dalla FOTOGALLERY, potrete notare una notevole trasandatezza.


mercoledì 27 luglio 2016

Resti di antichi frangiflutti: la Villa Augustea di Palazzo a Mare a Capri



Palazzo a Mare
Una delle ville romane più significative è localizzata nell’area che porta il nome di Palazzo a Mare. La villa si estendeva su di una vasta superficie che va dalla punta Bevaro alla spiaggia nota come “Bagni di Tiberio”, disponendosi con vari nuclei tra mare e promontorio, secondo la tipologia della villa marittima caratterizzata da elementi architettonici sparsi, in posizione panoramica, nel contesto naturale. La villa, attribuita ad Augusto con successivi rifacimenti dovuti a Tiberio, fu scavata e depredata di pavimenti, capitelli e lastre marmoree dall’austriaco Hadrawa, nel Settecento; subì ulteriori danni durante l’occupazione francese, agli inizi dell’Ottocento, quando la parte centrale fu trasformata in piazza d’armi e vi fu costruito un fortino; l’attività edilizia ha, poi, trasformato ulteriormente l’aspetto dei luoghi, per cui dell’antica dimora imperiale non restano che spezzoni di muri di terrazzamento, alcune cisterne e scarsi avanzi dei quartieri residenziali. 

Mappa dell'antica Villa, foto tratta da Archemail
Di questi resti mancano studi approfonditi che contribuiscano a creare un quadro unitario del complesso: da un’analisi sommaria sembra che il grandioso sistema di sostruzione e di approvvigionamento idrico sia concepito secondo un piano unitario e, pertanto, non ascrivibile a due diverse fasi. Secondo il Maiuri, la residenza vera e propria, di modesta estensione, era nell’area dell’ex-fortino, poi trasformato in villa privata, dove sono ancora riconoscibili alcuni ambienti di incerta funzione, cisterne, un impluvium (vasca per raccogliere l’acqua piovana) rivestito di marmo, resti di pavimenti a mosaico; molti frammenti marmorei appartenenti alla collezione Bismarck erano, quasi certamente, elementi di arredo della villa; nell’ampio spazio tenuto a verde, invece, si dislocavano piccoli edifici per il riposo e il godimento delle bellezze naturali e paesaggistiche: nell’area del vecchio campo di calcio va riconosciuto un grande giardino-xystus, dove passeggiava l’imperatore, con una serie di ambienti disposti all’intorno. Una rampa con gradini di marmo, attualmente nascosta dalla vegetazione, conduceva al quartiere marittimo della villa, al centro del quale si apre la grande esedra-ninfeo. Pertinenti a questo quartiere sono alcune vasche, forse utilizzate per la piscicoltura, e altre strutture in cui si è riconosciuto un porticciolo di approdo alla villa. Strutture sommerse sono relative a impianti per la piscicoltura mentre un quartiere rustico era, probabilmente, ubicato dove sorge l’attuale campo di calcio. (Fonte: Capritourism).

Resti del Palazzo a Mare, via Capritourism


lunedì 18 luglio 2016

Meketre, uno yachtman al tempo di Mentuhotep III

Modellino di barchetta ritrovato nella tomba di Meketre, dal sito Maritime History Podcast
Meketre è uno che fece carriera durante i regni di ben tre faraoni, Mentuhotep II, Mentuhotep III e Amenemhat I, appartenenti alla XI Dinastia del Medio Regno dell'Antico Egitto. Da quel che ci riferiscono le fonti passò dall'essere un semplice ufficiale fino a ricoprire cariche ben più importanti come quella di Cancelliere e Gran Maestro. Si parla di un periodo temporale che si aggira intorno ai 2000 anni prima di Cristo.
Nella sua tomba, situata accanto a quelle regali di Sheikh Abd el-Qurna, sono stati ritrovati numerosi modellini di barche tanto da supporre che il nostro Meketre fosse un esperto marinaretto.
Due sono le caratteristiche di questi splendidi modellini che mi hanno colpito di più, il primo è la conferma della tecnica che avevo già ipotizzato in un precedente post, La nave di Teseo sul vaso François ed i suoi interrogativi ancora irrisolti, di disalberare la barca quando questa non utilizzava la vela, l'altra è che lo yacht di Meketre veniva utilizzato per fare un "daysailing" che culminava in un pic-nic.
Da quello che si può osservare dalle varie mansioni dei componenti l'equipaggio, nel menu per la gita in barca di Meketre era previsto arrosto, pollame, bresaola, pane, birra, e una sorta di zuppa. Una ciotola annerita probabilmente conteneva carbone per arrostire la cacciagione, insomma per fare il barbecue.
Un uomo provvedeva ad alimentare una stufa sulla quale ribolliva una zuppa mentre dall'altra parte dello yacht una donna macinava del grano.
All'interno della cabina venivano preparate pagnotte di pane ma c'era anche chi pensava a produrre birra. Nella dinette dello yacht di Meketre non mancava nulla per fare dell'ottima cucina.
Nei modellini si trova anche la conferma che i rematori vogavano con le spalle a prua.
Tutte queste indicazioni, che destano un grandissimo interesse dal punto di vista storico e sociale poiché ci confermano che lo "yachting" ha delle origini che risalgono fino alla notte dei tempi, ci lasciano ancora con un grandissimo interrogativo: perché le barche venivano disalberate? Forse i ricoveri, ormeggi o marina avevano una porta di ingresso per essere meglio protetti o invece il disalberamento permetteva una vogata migliore considerate le linee d'acqua molto diverse dalle barche a vela di oggi?

La stufa presente nello yacht di Meketre, dal blog peashooter85


mercoledì 13 luglio 2016

Resti di antichi frangiflutti: Banchina delle Camerelle a Sapri



Sul litorale, una serie di cinque ambienti a volta (le "Camerelle", in origine circa 20) probabilmente adibiti a magazzini, e i resti del molo (le cosiddette "Pile"), con una struttura a casseformi colmate con gettate di opera cementizia e concatenate insieme. La vastissima platea che si estendeva dinnanzi alle "Camerelle", con funzioni di banchina, risulta ora sommersa. A ridosso delle strutture portuali, alcuni ambienti ipogei sui quali come terrazzo dalla pavimentazione in opus spicatum. "Le ville marittime, considerate dagli stessi contemporanei come insensate manifestazioni di lusso - ci ricorda il Mielsch si diffusero soprattutto dopo che nel 67 a.C. fu eliminata, grazie a Pompeo, la pirateria" : e quella di Sapri sorse proprio in questa fase. Singolarmente anche la sua fine sembra essere collegata col fenomeno della pirateria; le tracce di frequentazione dell'ambito della villa (nell'ultima fase è prevalente la presenza di ceramica sigillata africana) terminano intorno al 450 d.C., periodo in cui le coste italiche furono devastate dai Vandali di Genserico. Sarebbe seguito, per la villa di Sapri, un lunghissimo periodo di oblio. (Tutta la descrizione della antica villa romana con i resti dell'antico porto lo si trova su: La villa marittima di età romana).
I cassoni semi sommersi della banchina della villa delle Camerelle sono citati come esempio di costruzione in cemento pozzolanico idraulico su: THE ANCIENT PORTS OF ROME:NEW INSIGHTS FROM ENGINEERS - Alberto Noli e Leopoldo Franco.
L'antica banchina romana delle Camerelle è il luogo dove il 28 giugno 1857 avvenne lo sbarco di Carlo Pisacane e dei "trecento". 


giovedì 30 giugno 2016

Resti di antichi frangiflutti: il porto romano di Cosa



"Il molo romano di Cosa, odierna Ansedonia (GR), rappresenta uno dei primi esempi noti di impianto marittimo in opus caementicium. Di esso rimangono alcuni resti, che rivelano una notevole complessità edilizia nonostante siano alquanto malridotti, parzialmente inglobati in opere moderne e circondati da grandi quantità di detriti   ..."  (da: Felici-Baldieri, Il Porto Romano di Cosa)

A circa due ore da Arezzo, all'estremo sud del Golfo della Feniglia, una meraviglia di natura incontaminata, sorgono dalla terra e dal mare i resti dell'antica Città Romana di Cosa ai cui piedi fu costruito il porto del quale resistono al tempo resti, integrati in opere cementizie recenti,  in mezzo ai quali si scorgono ancora le basi dei piloni che sorreggevano i moli utilizzati dagli antichi romani.

I resti dei piloni dell'antico porto romano di Cosa, dallo studio di Felici-Baldieri


lunedì 20 giugno 2016

Resti di antichi frangiflutti: la Peschiera della Mattonara e la Buca di Nerone


In uno dei luoghi più deturpati della nostra Costa degli Etruschi si trovano nascosti autentici tesori di antichità, tra capannoni, mega porti turistici e commerciali, centrali termoelettriche. 
La peschiera della Mattonara associata ad una villa romana del I secolo dopo Cristo, la Buca di Nerone che sembra appartenere ad una necropoli villanoviana (è quel buco che si vede nel frangiflutto del porticciolo) , la necropoli etrusca della Scaglia, proprio dietro la centrale termoelettrica, l'agglomerato urbano della Frasca a nord della stessa centrale, la Torre Valdaliga del 1616 fatta costruire da Paolo V (anche qui è presente un'antica peschiera), ... e tanto altro.
Se aprite la mappa in dimensioni più grandi osserverete anche che cosa sta combinando il fior fiore delle nostre tante amministrazioni locali, hanno interrato un pezzo di mare proprio davanti alla peschiera non so per farci cosa, credo un altro obbrobrio (ah si, infatti vedi iniziative di ITALIA NOSTRA a riguardo).
E' bé, siamo in Italia. Guardate bene la foto sotto, quella vista ancora decente da quell'angolatura ora non esiste più.

Vista mare dall'antica peschiera della Mattonara. Questa vista non esiste più


giovedì 2 giugno 2016

Antichi frangiflutti, con scivolo, a Torre Santa Sabina in Puglia



Nel ricercare antichi frangiflutti e porti sommersi presenti nelle nostre coste ho trovato uno scivolo situato in un luogo meraviglioso della Puglia, Torre Santa Sabina, che non avevo visto. Ho provveduto subito ad aggiornare la carta nautica.
Oltre alla magnifica torre a "cappello da prete" fatta costruire sul finire del cinquecento probabilmente dai feudatari di Carovigno, davanti allo scivolo, sono evidenti i resti semi sommersi dello scalo portuale dell'antica città messapica di Karbina (Κάρβινα), che sorgeva presso l'odierna Carovigno, come attestano frammenti ceramici rinvenuti sui fondali.
Si trattava di un porto di notevole importanza, avendo una cava di pietra aperta proprio in prossimità della costa, quindi una zona ampiamente battuta dalle navi che trasportavano mercanzie, soggetta ai traffici commerciali tra la Grecia e le città dell'Italia meridionale. 
Non è da escludere che il borgo abbia svolto un ruolo più ampio di centro di redistribuzione, funzionale ad altri insediamenti messapici della fascia subcostiera, come San Vito dei Normanni e Ostuni.
Le attività marittime proseguirono dall'età micenea fino a quella medievale e moderna;
In epoca imperiale fu sede della stazione di sosta detta Ad Speluncas (così chiamata per via delle grotte presenti in zona), ubicata lungo la Via Traiana.
In periodo bizantino il suo territorio era cosparso di insediamenti rupestri e il nome di Santa Sabina deriverebbe dal culto dedicato a questa santa in una delle cripte allora esistenti.
Nel XIII secolo si insediarono nella contrada i Cavalieri Teutonici, e vi costruirono un ospedale e forse la prima torre. 
Un inventario di Raimondo Orsini del Balzo della fine del Trecento menziona infatti in questa località una torre distrutta. 
Studi sul territorio suggeriscono che l'area è stata colpita da due maremoti: uno data 6 aprile 1667 e fu originato dal terremoto che distrusse Ragusa di Dalmazia; un secondo tsunami flagellò le coste il 20 febbraio 1743 ed ebbe come epicentro il Canale d’Otranto. (Via: Wikipedia).

Che meraviglia la nostra Italia!
Antichi frangiflutti e resti portuali davanti a Torre Santa Sabina, da Ancientportsantiques


martedì 31 maggio 2016

Resti di antichi frangiflutti: la peschiera di Santa Marinella



Nell'antichità, come oggi, sono state realizzate numerose strutture portuali e frangiflutti sia per permettere il ricovero delle navi che per l'allevamento ittico come in questo caso della grande peschiera realizzata nei pressi di Santa Marinella, costruita forse verso la fine del I sec. a. C.

Al Km 64,600 della SR Aurelia si trovano i resti della Villa delle Guardiole, era molto grande e copriva un'area di circa mezzo ettaro. La struttura possedeva anche un impianto termale,le cui vasche sono ancora visibili. Opposte e appartenenti alla villa ,presso la foce del fosso delle Guardiole, sono poi due peschiere usate per l'allevamento del pesce. Oggi sono sommerse dal mare e visibili solo dall'alto o con la bassa marea. La prima è di forma rettangolare con un lato corto a forma di arco, la seconda è stata costruita su un precedente rudere di un porto, forse di epoca etrusca e/o comunque attinente alla fondazione di Castrun Novum nel III sec. a.C. Alla peschiera composta di due vasche era congiunto un muro di larghezza tra 1.5-2m che serviva da piccolo molo per le imbarcazioni. Tutta la struttura aveva le dimensioni di 65x60m, mentre la peschiera più grande, divisa internamente in cinque vasche misura 35x18.6m. (Per saperne di più: Canino.info).

C'è anche il video di Archeo Time.


Altre informazioni si trovano su: Punicum. Ecco come doveva essere un tempo, dal sito Santa Marinella Shop:

La peschiera di Punta della Vipera, dal sito santamarinella-shop

lunedì 23 maggio 2016

La moneta etrusca ruota/ ancora ci svela le origini della "grippia"

Dal libro "Etruschi nel Tempo", ritrovamenti ad Arezzo dal '500 ad oggi
Non c'è navigante che sia degno di questo appellativo che non abbia lasciato almeno una volta nella vita la sua bella ancora sul fondo, incagliata ben bene tra qualche sasso messo lì apposta per farlo imbestialire. E' capitato anche a me ma nel mio caso è stato solo perché sono un po' brocco.
Ma gli antichi etruschi, e forse anche i popoli che li hanno preceduti, avevano già trovato la soluzione: Ancora incaglitata? Ci pensa la grippia. L'articolo di Liguria Nautica News, per quanto istruttivo e dettagliato non era proprio una novità neppure tra il IV e il III secolo avanti Cristo per il popolo etrusco che allora dominava i mari.
I due anelli, il primo posto sulla sommità del ceppo ed il secondo sull'estremità finale del diamante, non lasciano dubbi sulla loro funzione, offrire due punti di tiro con angoli differenti, favorendo il disincaglio dell'ancora grazie alla cima di ancoraggio e alla grippia.
La moneta di cui stiamo parlando, ma non è l'unica con queste raffigurazioni, è esposta al Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, proveniente dalla Collezione Bacci di Stroppiello, da una parte rappresenta una ruota a sette bracci, dall'altro un'ancora bidentata con doppio anello e la lettera "V" improntata sul nucleo.
Le località dei ritrovamenti di queste monete si concentrano nel territorio della Val di Chiana, in particolare il territorio di Chiusi è la zona dove si sono verificati i rinvenimenti più numerosi
Come già accennato la loro datazione può essere inquadrata nell'arco cronologico compreso tra la fine del IV secolo e la fine del III secolo a. C., quando nell'Etruria settentrionale interna si erano create le condizioni necessarie per l'emissione di moneta da parte delle città poste in quest'area.
Dalla presa di Capua avvenuta nel 430 a.C da parte dei Sanniti fino alla decadenza del porto di Spina causata dall'interruzione quasi completa dei rapporti con il mondo greco indussero le città industriose come Arezzo a potenziare il mezzo di scambio adottato ormai sempre più frequentemente: la moneta.
Certo non è un caso che la ruota e l'ancora fossero simboli così significativi ed importanti nella produzione della moneta coniata dal popolo etrusco.
Le informazioni le ho ritrovate nel libro "Etruschi nel Tempo, i ritrovamenti ad Arezzo dal '500 fino ad oggi".

Etruschi nel Tempo, i ritrovamenti di Arezzo dal '500 fino ad oggi

Andare per l'Italia Etrusca

Valerio Massimo Manfredi, Andare per l'Italia Etrusca
Ne è valsa davvero la pena spendere poco più di 10 €, il libro è ancora in promozione scontato da Feltrinelli, per questo "Andare per l'Italia Etrusca" di Valerio Massimo Manfredi.
Il testo non tradisce il profilo culturale e l'esperienza lavorativa del suo autore, archeologo e scrittore ma anche sceneggiatore e conduttore per cinema e TV, le cui competenze gli hanno permesso di esporre in maniera semplice, diretta, sintetica e lineare un argomento di estrema complessità: le radici della nostra civiltà.
La comprensione di ciò che è avvenuto nel corso di circa un millennio prima del predominio di Roma e della sua presenza in tutto il bacino del Mediterraneo non è affatto semplice, tanto meno spiegarlo alla gente comune e non agli studiosi come me.
Chi erano glie Etruschi, che terre hanno bazzicato, come vivevano, cosa facevano per vivere? Ebbene, in questo testo di circa 150 pagine si trovano molte delle risposte a queste domande e non voglio togliervi il gusto di scoprirlo da soli anticipandovi conclusioni e considerazioni che a me personalmente non sono apparse affatto scontate, se per scontato si intende ciò che finora studiosi e programmi scolastici ci hanno inculcato.
Un sola considerazione voglio esprimere a riguardo, c'è una semplice parola di quattro lettere che lega tutti i capitoli del libro, il mare. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare il libro comincia parlando del porto di Spina, nell'Adriatico e ai confini della Pianura Padana, per arrivare fino a Roma attraverso l'entroterra per andare sempre e comunque verso il mare, aprendoci un varco storico e culturale tra la civiltà villanoviana e quella romana, quasi certamente ed in gran parte evoluzioni le une delle altre. Gli Etruschi erano veramente originari della Lidia come alcune fonti ci hanno tramandato oppure erano una popolazione autoctona influenzata dalle molte culture veicolate attraverso i commerci marittimi?


Vi lascio con questo interrogativo riportando una delle frasi che ho apprezzato di più in questo libro:

"Varcare l'Appennino da Nord a Sud significa entrare nella cosiddetta Etruria propria, una terra tra le più straordinarie al mondo per tanti motivi  ...."

Si parla della mia Etruria, della mia Toscana, del mio centro, veramente una delle terre più belle al mondo.




venerdì 20 maggio 2016

Anche gli antichi egizi avevano le loro barche "carrellabili"

Journal of Ancient Egyptian Interconnections - Ahhotep’s Silver Ship Model: The Minoan Context
E' bé, che anche la barca carrellabile dovesse avere una sua storia lo si poteva pensare ma che si arrivasse fino al regno della bellissima regina Ahhotep I, reggente dell'Alto Egitto in nome del figlio Ahmose durante la sua minore età in seguito alla morte del figlio Kamose, questo proprio non me lo sarei mai immaginato. 
Nella sua tomba, nella necropoli di Dra Abu el-Naga, scavata nel 1858, sono stati rinvenuti alcuni pregevoli esemplari di lavori di gioielleria ora conservati presso il museo de Il Cairo tra cui questa pregevole barchetta carrellabile in argento.
La regina Ahhotep visse per circa 90 anni e le fu dedicato un culto post mortem dal figlio Ahmose. (Fonte Wikipedia).
Ma quello di Ahhotep non è l'unico modellino di barca carrellabile presente nell'antico Egitto perché esiste anche la famosa Gurob Ship.

Dal sito della Gurob Ship
Il modellino fu ritrovato durante gli scavi del 1920 condotti da G. Brunton e R. Engelbach, del team di W.F. Petrie, nella tomba 611 situata nell'area di inumazione identificata come Point H dell'insediamento urbano di Mr Wr, letteralmente "il grande canale", situato all'ingresso del corso d'acqua che porta al lago Fayum, oggi denominato Gurob. 

Shelley Wachsmann, professore di Archeologia Biblica presso la Texas A & M University, uno dei maggiori esperti mondiali di archeologia nautica, ha dedicato il suo ultimo lavoro, “The Gurob Ship-Cart Model and Its Mediterranean Context” 2013 , a questo modellino in legno di galea a remi ,....... QUI.  (Via Monte Prama Blog).

E proprio vero che per comprendere meglio il presente e trovare il modo migliore per vivere nel futuro bisogna conoscere il passato e mantenerne integra la memoria.


sabato 14 maggio 2016

Etruscan Tour tra Populonia e Baratti, la sua terra, il suo golfo, il suo mare e ..... i suoi etruschi


Tanto per sognare un po' e preparasi bene una delle prossime uscite estive. Chi conoscesse un buon posticino dove dormire una notte mi farebbe un favore se me lo comunicasse anche se ho visto che si trovano su TRIPADVISOR.
Ah, tra le tante foto trovate in rete ho visto che anche lì non mancano i "walkerbayers", pensa un po' te!

Foto tratta da Tripadvisor
Certo è che non mancherò di passare per la "Buca delle Fate", ma tanto Elena mi tappa gli occhi, anzi l'unico occhio sano rimastomi che in certi casi come dice lei diventa vorticoso.



mercoledì 20 aprile 2016

La nave di Teseo sul vaso François ed i suoi interrogativi ancora irrisolti

La nave di Teseo rappresentata sul vaso François
Il vaso François è così chiamato dal nome dell’archeologo italiano Alessandro François che lo scoprì nel 1845 nella necropoli etrusca di “Fonte Rotella” a Chiusi. Qualcuno si ricorderà che io ed Elena ci siamo stati "alla ricerca del tesoro perduto di Re Porsenna".

Lato A e lato B, per convenzione, del vaso François 
La forma del vaso è nota come cratere a volute, cioè un cratere con anse a volute. Si tratta del primo cratere a volute attico, e uno dei primi in Grecia. Più tardi i ceramisti amplieranno le volute, aggiungeranno un labbro all'apertura, cambieranno la forma del piede, la forma diverrà complessivamente più alta, ma il modello di Ergotimos rimase esempio insuperabile. (fonte Wikipedia).
Nel primo registro del lato A vediamo a sinistra una nave con un personaggio maschile che scende; davanti a lui un personaggio femminile, e poi un corteo che si dirige verso destra. Si tratta dell’episodio dello sbarco di Teseo, che sta tornando in patria con i giovani ateniesi liberati dal labirinto, e sbarca nell’isola di Delo, dove viene effettuata una danza denominata “il ballo della gru”. (fonte universitarianweb).
E qui nasce l'arcano che ha stimolato la mia curiosità così come avvenne nella "pesca miracolosa, a vela, nella Pieve di Romena" ma anche quando visitammo "Lucignano, la sua bellezza ed i suoi tesori".
La nave è rappresentata già ferma con la poppa a terra ed i marinai che presumibilmente si stanno muovendo, chi volgendo la testa, chi alzandosi e chi camminando. Su questa interpretazione però non tutti gli studiosi sono d'accordo poiché alcuni ritengono che parte dei marinai sarebbero rivolti verso poppa e parte verso prua cercando di dare conferma di come la voga di spalla sia quella consuetudinaria considerando come errore la rappresentazione dei rematori che guardano verso prua invece che verso la poppa. Siamo ancora davvero lontani a capire la reale natura del problema? Personalmente concordo con la prima ipotesi sulla base della disposizione dei remi a barca ferma, i remi in quella posizione possono essere messi solo con le spalle a prua, ma perché i rematori vengono rappresentati sia verso poppa che verso prua? Forse che sullo stesso remo agivano due rematori, uno con la schiena a prua ed uno con la schiena a poppa, in modo da aumentarne la potenza?
Ma c'è un altro particolare che sembra assolutamente ignorato dagli studiosi, il legno posto in mezzo alla barca tra i personaggi della storia. Si trattava dell'albero? Come mai veniva tirato giù in fase di ormeggio? Forse il porto dell'isola di Delo aveva un arco di ingresso? O era una consuetudine rimuovere l'albero a barca ferma?
Altra possibilità è che l'albero sia molto avanzato, e quindi nascosto alla vista a causa delle rotture del vaso, ed il legno sia l'antenna o il picco della vela. L'argomento è in ogni caso interessante ai fini dell'identificazione dell'armo, sia per la lunghezza del particolare in legno che, come già detto, per la posizione dell'albero. Se l'albero fosse stato molto avanzato, come presumibile, si può pensare che l'armo velico fosse costituito da una grande vela triangolare dotata di pennone, ma questa è solo un'ipotesi molto azzardata. In ogni caso la potenza e la forza della civiltà della Grecia in mare non poteva essere prodotta con armi velici che non stringessero il vento.
Nelle ricostruzioni che sono state fatte dell'antico porto di Delos non esistono archi pertanto è purtuttavia plausibile che quella di abbattere l'albero sia stata una consuetudine, sempre che di albero si sia trattato.
Molto interessante anche il sistema a timone con doppia pala che in ogni caso fa presumere che la barca sia stata effettivamente a remi e a vela, pertanto l'albero c'era di sicuro. E' impressionante la somiglianza di questa barca dipinta con i modellini trovati nella tomba di Tutankhamon e, più in generale, con le rappresentazioni di barche egizie che avevano come caratteristica la doppia timoneria e la poppa molto rialzata.

Ricostruzione del porto di Delos, dal sito Exploring the world on Blue Velvet on Sark'
Insomma, un bel mistero da risolvere!

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