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giovedì 29 febbraio 2024

REWIND: Faltboote PAX, il kayak smontabile a vela di Karol Wojtyla

Karol Wojtila giovane accanto al suo faltboot, dal sito Statemaster Enciclopedia
Che al nostro amato Papa Wojtila piacesse stare con i giovani in campeggio a fare trekking lo sapevamo, ma che navigasse in una bellissima Faltboot PAX con tanto di rig velico proprio non riuscivamo ad immaginarselo. Così ho trovato anche la foto della sua stupenda barca conservata al Museo Giovanni Paolo II a Wigry, non si finisce mai di imparare nonché di avere la voglia di averne una uguale. E' bellissima.

La Faltboot PAX di Wojtila, dal sito Museo Giovanni Paolo II
"Giovanni Paolo II ha avuto un rapporto speciale con i giovani cattolici ed è conosciuto da alcuni come il Papa per la gioventù. Prima che diventasse papa faceva spesso campeggio e trekking in montagna con i giovani e ha continuato anche quando era papa."


Karol Wojtila in kayak, foto tratta da Sportydoo
Sue queste parole:
“Lo sport non può essere ridotto solo a una questione di goal e di medaglie, di coppe, primati e traguardi tagliati a suon di miliardi e dirette televisive. Lo sport è qualche cosa di più alto e più nobile: è il veicolo privilegiato per la formazione integrale dell'uomo, attento ai valori della solidarietà, del lavoro, del sacrificio, della giustizia” .


Karol Wojtila assieme al gruppo di Środowisko, dal sito GliScritti
Karol Wojtila, un Santo, un grande Papa, ma prima di tutto un uomo formidabile.


venerdì 23 febbraio 2024

REWIND: La tomba "dai colori brillanti" ci svela qualcosa in più sulla navigazione degli antichi egizi

Da un particolare della tomba "dai colori brillanti", da il Messaggero
In un interessante articolo de Il Messaggero ci è stata segnalata l'ultima scoperta in tema di antichità: Egitto, svelata la tomba dai colori brillanti: gli affreschi di 4.000 anni fa sono intatti.
Poiché sono sempre incuriosito da questi importanti ritrovamenti sono andato a vedere cosa c'era di bello e che ti trovo? Due fantastiche rappresentazioni di imbarcazioni in navigazione, con e senza armo velico.
Mi soffermerò solo sulla navigazione a vela in cui si intravedono particolari molto interessanti.
Il primo è l'albero composto da due pali probabilmente incrociati a "V" rovesciata per permettere che il pennone potesse ruotare in corrispondenza dell'incrocio posto nella sommità dei pali.
Di rilievo anche il particolare che i fascio di drizze, probabilmente utilizzate sia per tirare su l'albero che il pennone, sono tutte poste nella parte posteriore dell'albero, questo significa che, una volta issato, l'albero era bloccato a fine corsa posteriore dopo una rotazione, infatti non mi sembra di scorgere la presenza di uno strallo anche se potrebbe essere solo una limitazione dovuta al fatto che sarebbe parzialmente coperto dalla vela.
Prescindendo dalla doppia timoneria e dalla manovra sul pennone con due drizze per orientare la vela, noto due altri particolari davvero straordinari. Il primo è la figura del cosiddetto "trimmer" che in gergo nautico è il responsabile della messa a punto delle vele. Come potete notare è una figura posta in primo piano anche rispetto ai timonieri come per indicarne la superiorità o la maggiore importanza. Credo che questo ci debba far riflettere sull'importanza dei ruoli in navigazione e la loro evoluzione nella storia, infatti la regolazione delle vele è quasi certamente un compito assolutamente essenziale e determinate quanto quello del timoniere e del comandante. C'è da aggiungere inoltre che la sua dimensione cambia in funzione della manovra.
L'altro particolare è quello che rappresenta un componente l'equipaggio, notare solo nel secondo riquadro, che interviene con una lunga asta sulla vela quadra. Evidentemente la sua era una manovra condizionata dal cambiamento di mura della vela che interveniva solo quando necessario. Ovviamente il particolare posto solo nel secondo riquadro ce ne voleva indicare lo scopo, così come le dimensioni maggiori del trimmer in questo stesso riquadro.
Da notare anche il pennone di mezzana, se non ho sbagliato il termine posto in basso, quasi tangente al piede dell'albero.
Infine il componente l'equipaggio posto nell'estremità di prua doveva essere colui che indicava la rotta, tutto sommato una figura di secondo piano visto e considerato che nel terzo riquadro, nel corso della navigazione a remi, viene rappresentato nell'atto di scagliare la lancia con la funzione di soldato.
Quasi certamente la tomba doveva essere quella di un alto dignitario, forse un comandante di nave o di flotta o semplicemente il trimmer che sopra viene rappresentato seduto ad un tavolo delle offerte. Questa ultima eventualità ci potrebbe far capire l'importanza di certe "funzioni" in navigazione, insomma tutta una storia ancora da raccontare.




sabato 17 febbraio 2024

REWIND: Gli studi di imbarcazioni a vela di Leonardo da Vinci

Per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, considerato i documenti che hanno messo in rete, ho cercato uno studio che provasse l'interesse di questo nostro genio italico anche verso la pratica della vela e, benché non avessi avuto dubbi sul risultato, la mia curiosità è stata abbondantemente ripagata.
Gli studi di Leonardo che ho trovato, perché non sono gli unici, si trovano nel Codice di Mardid II.

Il Codice di Madrid
Riscoperto nel 1966, questo manoscritto di 157 carte contiene studi riferibili all'attività di Leonardo a Firenze, dopo la conclusione del primo soggiorno milanese. Vi si trovano progetti di architettura militare condotti per il Signore di Piombino, rilevamenti cartografici del territorio toscano, note di pittura e studi di ottica. Al manoscritto e stato arbitrariamente legato il fascicolo finale, che contiene gli studi condotti tra il 1491 e il 1493 per il il monumento equestre a Francesco Sforza. (Tratto da Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza)

Leonardo a Piombino (tratto da La Toscana di Leonardo - Itinerari)
Leonardo lavorò a Piombino per Jacopo IV Appiani, del quale Firenze cercava ora l’alleanza o almeno la neutralità. Per quanto i suoi incarichi iniziali fossero limitati alle indicazioni concertate con Machiavelli, Leonardo si spinse ben oltre elaborando complessi studi che dettero origine ad una serie di annotazioni sull'architettura ... È significativo che alcuni appunti sulla navigazione a vela dimostrino come Leonardo studiasse a Piombino insieme ad Antonio da Sangallo il Vecchio: nel foglio 122r del Codice di Madrid II, le scritte «orza davanti cioè di prua» e «orza di poppa» sono di mano del Sangallo; ....

Ancora nel foglio 35r, vi sono calcoli per le fortificazioni di Piombino .... Sempre a Piombino Leonardo studiò le onde, le barche a vela, i venti e la navigazione, insieme alle traiettorie e al campo di tiro dell’artiglieria e all’opportunità di modificare l’altezza delle colline intorno alle fortificazioni. 
Trascrizione esatta
Studio delle barche:
L'antenna sta su  alta sul lato di levante
δ τ antenna; a b τ gratile/ ralinga; a δ c balumina; a la poggia; δ la penna; τ il carro
cammina a scirocco con la potenza del vento che vien da greco alla potenza del vento b.m.f.
…... a scirocco col vento greco alla potenza del moto b.m.g.

Studio delle fortificazioni:
5942- 2393 = 3549
fosso colli muri et procinto della fortezza del Monte a Santa Maria monta ducati 5942
fosso e muri d'essi fossi alla difesa della terra colla torre e un barbacano di groseza di braccia 23 e alta 20 tutta soda salvo le difese montan ducati 2393

Commento
Lo studio delle barche a vela di Leonardo è sorprendente per la sua precisione e accuratezza e ritengo che l'argomento possa essere ampliato con altri documenti alla mano, cercando di approfondirne i significati che, ahimé, attualmente rimangono solo descrittivi.
L'armo velico preso in esame è quello della vela latina che viene descritto in ogni sua parte in funzione dei venti e della rosa dei venti ma si parla anche della forza del mare. Credo che Leonardo volesse studiare con precisione una formula che comprendesse sia i venti (b.m.f) che la forza delle maree (b.m.g.), probabilmente non concluso, in ogni caso anche i calcoli e le formule validi oggi si basano tutti su osservazioni empiriche. Mi pare del tutto evidente che lo studio sia stato condotto in funzione militare.
In un disegno a parte vengono indicate le parti principali dello scafo e la sua forma.
Per quanto riguarda i fossi e i muri sembrerebbe che Leonardo si stia occupando di problemi difensivi molto concreti, indicando dimensioni e costi. La sottrazione dovrebbe indicare una differenza di costi.
Una curiosità. Leonardo, come tutti sanno, aveva una scrittura speculare, ma questo valeva solo per le lettere e non per i numeri, come potete osservare nel documento che ho trascritto.
Ho cercato di fare una trascrizione più accurata possibile e se per i termini velici mi è stato relativamente facile, salvo possibili errori, per la parte descrittiva mi ha aiutato il Dott. Giacomelli, storico, maestro e guida nella ricerca che stiamo effettuando sulla storia millenaria della Famiglia Lenzi.

Codice di Madrid II, 7r. - La vela, i venti e il litorale di Piombino, l'Arno tra Badia a Settimo e Signa, c. 1503-1504.


venerdì 29 aprile 2022

Il rilevo Torlonia di Portus, qualche considerazione personale

La tavoletta Torlonia di Portus, dal sito di Ostia Antica
L'interpretazione delle fonti, e non solo nella storia della navigazione, è uno dei miei interessi preferiti e su questo "rilievo di Torlonia", così ben descritto nel sito di Ostia Antica, non potevo esimermi da aggiungere qualche considerazione e dettaglio personali.
La prima osservazione, direi macroscopica, è che più di uno studioso parla di due imbarcazioni mentre, se questo è pur vero dal punto di vista figurativo, a mio parere mi sembra evidente che la nave sia la stessa rappresentata in due momenti diversi della navigazione quindi, partendo dalla parte sinistra a quella destra della tavoletta, si tratterebbe di una sequenza temporale. Questa nuova luce dovrebbe cambiare un po' di cose sulla interpretazione di quanto raffigurato e questo, per lo meno a me che osservo soprattutto ciò che concerne la navigazione, mi sembra abbastanza evidente. Per semplicità elenco per punti le differenze nei due momenti della navigazione:
1) le onde del mare: in mare aperto sono più grandi, il mare è più mosso, mentre all'interno del porto le onde sono più piccole ed il mare più placido;
2) il rimorchiatore in azione: salendo, la prima cosa che si nota è il rimorchiatore. Lo chiamo così perché questa è la definizione che alcuni studiosi gli avrebbero dato ma non sarei del tutto certo che si tratti di un'unità esterna alla nave, bensì potrebbe appartenere all'equipaggio e all'attrezzatura navale stessi. Prima di entrare in porto il marinaio sopra il rimorchiatore, posto a poppa della nave, blocca i timoni con una cima passante tra due fori interposti tra l'asta e la pala. Una volta ormeggiata la nave il rimorchiatore è fissato anch'esso a prua della nave ed è il motivo per cui non ci può essere certezza che questo non appartenga tanto al porto quanto alla nave, quindi si tratterebbe di un mezzo navale in dotazione con funzione di appoggio come i nostri "tender";
3) l'equipaggio: l'equipaggio cambia la sua composizione, nella nave in alto mare si notano il timoniere a poppa, anche se la figura è parziale, tre figure attorno ad un fuoco, che taluni studiosi asseriscono facenti parte di un cerimoniale anche se potrebbero essere semplicemente cuochi mentre cucinano per l'equipaggio, un marinaio alle drizze, un marinaio con funzione non identificata, un maestro d'ascia in azione, e un marinaio addetto al corvo, o alla passerella d'attracco. Nella barca oramai attraccata alla bitta d'ormeggio, che si trattava di una grossa pietra squadrata e forata per il passaggio della cima, si contano almeno cinque marinai intenti a riporre le vele e un marinaio che attraversa la passerella abbassata con un oggetto in mano e un'anfora sulla schiena.
4) le vele: interessante la rappresentazione di alcune attrezzature di coperta utilizzate ancora nei velieri di fine Ottocento e nelle vele storiche odierne. Le vele oltre alla rappresentazione della lupa  che allatta Romolo e Remo, a mio parere, contengono semplicemente un numero che potrebbe rappresentare la flotta o la nave, non gli darei altro significato simbolico poiché i numeri nell'esercito romano, e quindi nella flotta, indicavano un importante senso di appartenenza.
5) il faro e il porto: dovrebbero essere rappresentai un faro, piedistalli, sculture ed edifici tipici dell'architettura romana sui quali non entro in merito.
6) le figure allegoriche: l'occhio che sembra appeso al pennone non mi sembra una figura allegorica come le tre statue poste al centro e ai lati in alto e anche le tre donne rappresentate sulla estrema destra sembrano più che altro affaccendate in lavori di pulizia. Mi potrei sbagliare ma, essendo l'occhio appeso al pennone, credo che rappresenti una particolare unità come per esempio una vedetta. In mezzo a tutto c'è il dio Nettuno, la divinità di tutte le acque e questa è la figura simbolica per eccellenza.


venerdì 20 agosto 2021


lunedì 1 marzo 2021

“Le Mirage du Sport” e il giallo della canoa smontabile dalle vele rosse

 

Detective n. 149 del 3 settembre 1931, dal sito criminocorpus
Sono diversi i post in cui ho riportato le avventure di coraggiosi navigatori che hanno effettuato imprese memorabili, anche di recente. Per esempio quando vi ho parlato del periplo della nostra penisola fatto con un piccolo gommone a vela, oppure delle traversate transoceaniche effettuate con canoe a vela smontabili come quelle di cui parleremo oggi, navigazioni andate più o meno bene. Altre invece sono finite in tragedia come nel caso della scomparsa dell'artista Bas Ian Ader nel suo "Ocean wave", ma solo per fare alcuni esempi perché i miei lettori più assidui forse le conoscono tutte queste storie.
Avventurarsi nelle sconfinate immensità di mari e oceani con poco più che "gusci di noce" e sperare di uscirne indenni da eroi è, secondo me, solo una questione di fortuna. 
In questo post si parlerà del tentativo di attraversamento del Canale di Corsica con un piccolissimo trimarano a vela smontabile della Klepper, tentativo finito in tragedia, e io so bene quanto questo mare possa essere pericoloso: un mio lontanissimo antenato procidano, Michele Arcangelo Guarracino, intorno al 1819, con una barca ben più grande, una tartana, vi scomparse assieme a tutto il resto dell'equipaggio nel corso di una tempesta.
L'ispirazione per la scrittura di questo articolo l'ho trovata nel blog intitolato dossierduepuntouno, ma io ho preferito tradurre integralmente l'articolo originale che parla della storia, tratto dall'archivio criminocorpus.
Con la mia esperienza nel Famigerato Circolo dell'Inchiostro a China ho acquisito una discreta conoscenza della lingua francese, in particolare nell'estete del lontano 1982 quando venni inviato ad indagare sulle infiltrazioni della mafia cinese nei Casinò. La banda venne sgominata nel Casinò di Beaulieu sur Mer, dove entrai fingendomi un giocatore come un altro. Mi ricordo che avevo una stella filante che mi cingeva la testa per farmi riconoscere da uno dei croupier che avevamo introdotto nel Casinò e quando cominciai a vincere sconsideratamente i cinesi si innervosirono e vennero smascherati facendosi mettere nel sacco come coglioni. C'è chi sospetta che l'attuale pandemia di Coronavirus sia stata introdotta in occidente dai cinesi per vendicarsi di quella storia, credo sia verosimile.
Coloro che mi ospitarono nel corso di quella breve operazione non ha mai saputo chi ero né quale fosse il vero scopo della mia presenza lì.
Bando alle ciance, passiamo ai nostri sventurati eroi.

La barca di cui si parla in questo post è più o meno questa, ma aveva anche gli stabilizzatori laterali, un piccolo motore e le vele di colore rosso. Immagine tratta dal sito faltbootbastlen

Dal nostro inviato speciale a La Spezia. 

Era di domenica sera, il 17 agosto 1931 per l'esattezza, quando una cabrio nera, targata 7987 RE, proveniente da Parigi, parcheggiò davanti all'hotel "Riva Bella", a Cap Martin, tra Mentone e Montecarlo. Dall'auto scesero un giovane atletico con una donna che sembrava un po' stanca. 
"Il capo mi conosce", disse l'uomo al portiere notturno. “siamo venuti l'anno scorso ... eravamo nella camera 22”. 
 La camera 22 era libera e gli venne nuovamente concessa, registrandosi come il Signor Alain Sabouraud, 26 anni, proveniente da Parigi e diretto in Corsica, accompagnato dalla signora Sabouraud, 28 anni. 
 “Il signore e la signora Sahouraud? Ma certo” commentò la mattina dopo il titolare del Riva Bella “sono clienti! Persone molto simpatiche!” Ricordava quel ragazzo alto, senza barba, ben piazzato con gli zigomi di un pugile e una giovane donna bionda con lo sguardo penetrante, non molto bella, ma elegante e discreta. 
 Li vedemmo di prima mattina, lei con un pigiama rosso; lui, vestito con pantaloni di tela e camicia spigata, scendere verso il mare, il mare vellutato di Cap Martin, su cui i grandi ombrelli dei pini e gli ulivi affacciavano le loro teste spettinate. A pranzo. Alain Sabouraud ci chiese se potevamo inviare il suo bagaglio in Corsica. La sera, mentre l'Ile de Beauté metteva in mostra tutto il suo splendore, fluttuando nella calda giornata di sole come in un miraggio, l'uomo ricordava al titolare dell'Hotel: “L'anno scorso siamo andati in canoa a Sanremo. Quest'anno faremo di meglio!” 
Il Martedì mattina si svegliarono alle 4 e 30 per andare a pesca e a mezzogiorno, senza aver pranzato, Sabouraud pagò il conto. All'improvviso gli era venuta fretta. Sul retro della decappottabile, il fattorino che portava i bagagli in macchina notò un involucro piuttosto grande. Era una canoa di tela gommata smontabile che Sabouraud avrebbe portato a Monaco. 
Nel pomeriggio, il pescatore Adolphe Verna, che verniciava una barca sulla banchina arsa dal sole del porto di Monaco, ricevette una visita curiosa: “Mi riconosci?”, chiese Alain Sabouraud. “Mi hai affittato una canoa l'anno scorso”. Verna si asciugò le mani. poi si alzò. Aveva la testa di un contadino delle Landes con le guance scavate, il mento pronunciato e gli occhi azzurri e candidi. Era un maestro d'ascia ed era così bravo, almeno così dicevano quelli che lo conoscevano, che avrebbe fatto galleggiare anche un blocco di pietra. “Vedo tante persone”, rispose. 
Due ore dopo, Verna, andò a controllare le sue reti e Sabouraud e la sua compagna andarono con lui. Dopo aver lasciato lasciato il porto Sabouraud, annunciò al pescatore: “Domani parto con mia moglie per la Corsica, a bordo di una canoa. Se riusciremo nell'impresa faremo un gran baccano”. “Non è sicuro”. Gli rispose Varna, “ci sono delle correnti molto forti che potrebbero portare alla deriva un natante così leggero”. Ma Sabouraud si strinse nelle spalle: “Siamo allenati, non si preoccupi!” ... Senza dubbio pensava a quelle grigie domeniche dove, attraverso i canali del Nord e dell'Ile de France, la sua canoa scivolava con la grazia di un cigno, tagliando un'acqua argentea e assonnata, sulla quale, in autunno, galleggiano foglie morte. 
Ritornarono a Monaco e Alain fissò un appuntamento con Verna per l'indomani mattina alle cinque. Poiché il marinaio aveva lasciato la chiave sulla porta del garage della sua barca, Alain e la sua compagna ebbero tutto il tempo per dotare la loro canoa di provviste e attrezzature di bordo. 
Fu da questo momento che la ruota del destino iniziò a girare più velocemente. Sabouraud andò alla stazione di polizia del porto per ottenere un permesso di navigazione con la sua canoa. 
“Ah! sei tu, Sabouraud”, gli disse il segretario del Signor Lôtelier, il comandante del porto. “Ho sentito in giro che vuoi tentare la traversata del canale di Corsica a bordo di un guscio di noce. Non può essere vero, giusto? In ogni caso, non contare su di me per facilitarti questa impresa ...” Sabouraud sorrise, poi insistette. Si profuse in elogi sulla sicurezza della sua barca nonostante l'apparenza fragile nonché a decantare le sue qualità di navigatore, la sua serietà e la sua tenacia. In verità voleva ottenere una prova documentaria ufficiale che comprovasse l'ora della sua partenza in vista del suo futuro successo sportivo. Ma, nonostante il colloquio fosse durato a lungo e avesse talvolta assunto toni vivaci, durante il quale Alain si rivelò un abile e appassionato difensore della propria causa, il funzionario non si lasciò intenerire. Accettò a malapena di inserire un visto di uscita nel taccuino di Sabouraud, annotando che i due navigatori stavano per lasciare il porto. 
Questa battuta d'arresto non rallentò le intenzioni del giovane neanche per un attimo. La sera provò nuovamente la sua canoa facendo il giro del Mariette Pasha, una nave ancorata di fronte al Casino d'Eté di Monte Carlo che era diventato il palazzo più in vista della Costa Azzurra. 
Il Mercoledì. il sole si era levato senza apoteosi. A ovest si stavano formando raffiche di vento. Tuttavia, lungo la costa, il mare era ancora bellissimo. Sulla banchina deserta del porto di Monaco, il pescatore Verna aveva provato, un'ultima volta, a far rinunciare Sabouraud al suo progetto. Ma lui è rimasto sordo a tutti i suoi consigli, egli aveva fiducia nella sua esperienza, nelle sue muse, nella sua stella. “Bah!" disse Verna, "non potrete rientrare ...” 
Imbarcarono. venti litri di acqua potabile. cibo in scatola, frutta, strumenti di bordo, in quantità sufficiente per resistere per quattro o cinque giorni. La giovane donna che indossava le scarpe con le suole in gomma scivolò mentre cercava di montare sulla canoa e si graffiò leggermente il mento. Verna notò anche che aveva una piccola cicatrice sulla guancia a causa di un incidente automobilistico avvenuto diversi anni prima. 
Senza essere minimamente preoccupata, la compagna di Sabouraud, allegra e spensierata, chiese anch'essa l'opinione del marinaio: “Che ne pensi? chiese al pescatore? "Che vi dovrete rifugiare nella baia de Garavan", gli rispose. 
Terminati i preparativi, i due emulatori di Alain Gerbault si sistemarono nella canoa. Lei davanti, lui dietro, con a portata di mano mano il timone e il joystick di un piccolo motore laterale. Verne li trainò con la sua barca a motore e quando raggiunsero Pointe-Vieille, si alzò una leggera brezza che fece arricciare l'onda. “Lasciaci!” gridò Sabouraud. Verne, un po' commosso, osservava gelido la barca che si allontanava in mare aperto, con i due fragili alberi dove le vele rosse non erano ancora state issate.

Detective n. 149 del 3 settembre 1931, dal sito criminocorpus
Passarono tre giorni ... 
Un amico di Alain Sabouraud, il signor Fermé, che era stato avvertito con un telegramma dallo stesso Alain della partenza via mare dei giovani per la Corsica, cominciando a temere un incidente, allertò il Ministero dell'Aeronautica e della Marina al fine di avvisare gli idrovolanti che operavano nella zona di partecipare alla ricerca della canoa. 
A Parigi, nel comunicare i suoi progetti alla famiglia, Sabouraud aveva specificato che la sua intenzione era quella di arrivare fino a Nizza, fare la traversata Nizza-Calvi su un traghetto della Compagnia Freyssinet, scaricare la sua canoa a Calvi, per poi navigare lungo la costa corsa. 
Il fratello di Alain, il signor Jacques Sahouraud, domenica mattina, ricevette una telefonata dal signor Fermé, che lo aveva avvisato, contrariamente a ciò che credeva la sua famiglia, che Alain aveva rischiato pericolosamente la traversata da Montecarlo alla Corsica con l'ausilio della sua sola canoa. 
Il signor Jacques Sabouraud non esitò un minuto. Prese il treno per Nizza da dove si diresse verso Monaco e poi a Genova, dove richiese un'indagine alla polizia italiana e francese. Purtroppo già da prima che la sinistra scoperta a Marina di Carrara venisse annunciata a La Spezia, la famiglia di Alain Sabouraud aveva cominciato a temere il peggio. 
Solo il Martedì 25 i quotidiani della Riviera cominciarono a riportare informazioni sulla scomparsa della canoa e dei suoi due occupanti: Alain Sebouraud e la sua sconosciuta compagna dal pigiama rosso. 
Nel frattempo Jacques Sabouraud venne avvertito dal Console di Genova della disgrazia che lo aveva colpito; contemporaneamente, il telegrafo italiano dette la notizia: il peschereccio La Vigilante che si trovava in mare, a cinque miglia al largo di Marina di Carrara, aveva avvistato un relitto rosso, scambiandolo a prima vista con una boa. Una volta avvicinatosi, notarono che si trattava di una piccola imbarcazione trascinata da quella corrente che, provenendo dal mare aperto, e passando davanti a Montecarlo, restituiva spesso relitti e cadaveri. Fu lì che furono ritrovati i corpi degli aviatori della Città di Roma e il corpo di Cecconi. 
Nella barca c'era un cadavere di donna, vestita solo con una sorta di camicetta da marinaio. La testa era infilata sotto la poppa. La gamba sinistra era semiaperta nel fondo e la gamba destra era appesa fuori dalla canoa. Un incredibile groviglio di funi avvolgeva il suo corpo. 
Ne seguì una corrispondenza straziante tra i giornali francesi e italiani, ma la polizia non si sbottonò prima di avere delle informazioni dettagliate: “Di che marca è la canoa? È di fabbricazione tedesca delle industrie Klepper, lunga 4 m. 60, larga 65 centimetri, con telai in legno chiaro che formano il ponte? Ci sono due vani, uno nella parte anteriore, l'altro nella parte posteriore? Quante vittime ci sono a bordo? “Una giovane donna sulla trentina, altezza 1 m. 55. Sottile. Capelli ossigenati. Anello in platino sull'anulare sinistro”. “Cosa avete trovato a bordo?” “Bussole, un giornale di bordo illeggibile, mappe della Corsica, una sciarpetta da uomo, una stufetta portatile, una borsa da donna contenente fotografie, un passaporto ... “Il passaporto della vittima?” . “Si legge male. L'acqua del mare ha strappato le pagine”. “Qualcosa?”... - È Mariette Cavanniez o Caravaniez, francese, 28 anni. vive a Parigi.” 
E da Parigi giunse subito questo annuncio: “E' Henriette-Irène Caravaniez. 28 anni, la prima modellista della maison Charlotte Révyl, impiegata presso la maison, la compagna di Alain Sabouraud, partiti assieme per Monaco il 15 agosto. 
E da questo momento in poi iniziarono ad essere noti i primi elementi del dramma, nonostante una comprensibile pausa di qualche giorno. 
“La crociera di Alain Sabouraud, anticipata come un audace romanzo d'avventura, si era conclusa con un enigma e raramente un mistero era risultato così drammatico”. 
Una serie sfortunata di prime osservazioni, fatte non appena il cadavere in avanzato stato di decomposizione era stato portato a terra, aveva influenzato i tanti curiosi presi dall'emozione del momento. 
Un praticante locale, il dottor Heracle Ellonore, ad alta voce, di fronte a questa folla incredula e attonita, aveva asserito che una piccola ferita nerastra, presente nel collo del cadavere poteva essere stata prodotta da una pistola. Le mille ipotesi che produssero le redazioni dei giornali italiani per le strade di Genova andarono dalla più romantica alla più improbabile. 
La canoa semidistrutta era stata trasportata da una squadra di volontari, senza nessuna delle abituali precauzioni ai fini dell'indagine, nel cortile della caserma dei carabinieri di La Spezia, dove rimase due o tre giorni abbandonata in bella vista, facilmente accessibile ad una folla di curiosi. 
Era in condizioni terribili. Solo lo scafo aveva resistito. I due galleggianti di poppa e di prua così come gli stabilizzatori pneumatici fissati sui lati della canoa grazie ai quali ne veniva assicurata la stabilità erano gonfi, il che aveva impedito il ribaltamento della barca. Ma la struttura in legno aveva parzialmente ceduto e lo scafo, senza rompersi, in alcuni punti aveva ceduto, come se fosse stato colpito da violenti urti contro rocce o frangenti. I due alberi erano rotti, le derive e le vele erano state strappate via dalla tempesta disseminandole nel ponte. Tutto indicava una lotta furiosa, una disperata resistenza della fragile canoa che veniva brutalmente sopraffatta dalla tempesta e si impennava fino alla morte per non essere sopraffatta. 
I commenti attentamente ponderati del professor Ugo Pardi e del giudice istruttore Sclafani furono perfettamente concordi. “L'autopsia del cadavere della signorina Caravaniez, contrariamente a quanto asserito dall'eminente praticante italiano, non ha rivelato nulla di anormale. Si è trattato di una morte naturale. Non parliamo di spari, per favore. La ferita esaminata, e che ad alcuni a prima vista è apparsa sospetta, era in realtà solo una ferita superficiale del collo che interessava solo la regione cutanea, e probabilmente prodotta da un urto durante il ribaltamento della canoa. E il giudice istruttore Sclafani confermò che il cadavere non era affatto legato al fondo della barca. Le funi cadute sulla vittima, durante la tempesta, avevano semplicemente lasciato l'impronta sul cadavere in piena decomposizione. Queste impronte avevano generato gonfiori che, ad un esame superficiale, avrebbero potuto far pensare ad una ferita d'arma da fuoco. 
D'altro canto, dopo che il compagno della donna era scomparso in mare, il che è probabile, è possibile che ella abbia tentato di cambiare posto per manovrare la canoa cercando di raggiungere la parte posteriore poiché era posizionata davanti. 
Le cause della morte della sfortunata donna mi sembrano facili da stabilire: "morte sopraggiunta successivamente ad una sincope prodotta dal terrore e aggravata dal digiuno.” 
Queste conclusioni, ovviamente, sono molto distanti dalle fantasiose supposizioni faticosamente costruite da “giornalisti” amanti dello scandalo. 
Ma, così com'è, il dramma è semplicemente terribile. 
Due giovani, con tutto il loro entusiasmo e tutto il loro ardore, rispondono con una sorta di entusiasmo eroico al richiamo del mare. E la tempesta infrange le loro speranze e travolge il loro destino. 
Miraggio, miraggio terribile e deludente dello sport, che a volte uccide il più virile, il più ardito, anche il più orgoglioso dei giovani di oggi ... 

F. DUPIN.

Detective n. 149 del 3 settembre 1931, dal sito criminocorpus

lunedì 8 giugno 2020

REWIND: How small is too small?

West Wight Potter E-Type, da un articolo di Practical Boat Owner
(Da un articolo di Practical Boat Owner trovato su West Wight Potter Owners, liberamente riassunto, tradotto ed interpretato da me medesimo. Perdonate errori ed omissioni ma una traduzione precisa e puntuale richiederebbe molto più tempo dell'oretta a cui ho potuto dedicargli).

Se gli yacht stanno diventando sempre più grandi e più sofisticati, perché qualcuno dovrebbe scegliere di navigare un micro cruiser di 14 piedi dagli anni '60?

David Harding ha cercato di scoprirlo sul West Wight Potter... How small is too small? 

Se si vuole discutere in merito ai piaceri della crociera in una barca molto piccola basta chiedere ad uno qualsiasi dei proprietari di un West Wight Potter: “Potevo permettermi un nuovo 31 piedi ha detto uno di questi di recente, ma mia moglie non ama né il freddo né l’umido, e l’impegno di possedere una barca non ci lascerebbe il tempo per tutto il resto che vorremmo fare. Invece, teniamo il nostro Potter nel garage. Quando si vuole uscire in barca a vela, lo agganciamo all'auto e si va via per un paio di giorni sul Norfolk Broads, possiamo decidere di navigare lungo la costa orientale, oppure i laghi scozzesi, o dove ci pare e piace. Il Potter può essere varato, alato e attrezzato da una sola persona e, una volta tornati, lo rimettiamo di nuovo nel garage. Non esiste un modo più semplice di andare in barca.”

Un mondo in cui i materiali compositi ultra tecnologici, l’elettronica e i sistemi di climatizzazione gestiti da un cellulare prima di arrivare al porto sembrano averci fatto dimenticare che anche la semplice navigazione può essere divertente, così come riuscì a dimostrare Stanley Smith nei primi anni' anni '60, quando introdusse i primi Potter in compensato marino. Ma Stanley non è venuto alla ribalta con il Potter, bensì con la realizzazione di un dinghy cabinato costruito nel suo cantiere a Yarmouth, nell'Isola di Wight.
Nel 1949, più di un decennio prima dell’uscita del Potter, Stanley e suo fratello Colin, partirono dalla Nova Scotia a bordo di “Espero Nova”, un 20 piedi che avevano costruito nel seminterrato di una vecchia cappella. Con questo dinghy cabinato arrivarono ​​in Inghilterra 11 giorni dopo e, non a caso, si sono trovati al centro dell'attenzione dei media. Dopo aver mostrato la barca al Festival della Gran Bretagna, l'anno successivo, questa volta con Stanley Charles Violet come equipaggio, hanno fatto la traversata di ritorno nel 1951, come raccontato nel suo libro "The Wind Calls The Tune".
Ma le sue imprese non finìrono lì. Convinto sostenitore della capacità che le piccole imbarcazioni a vela possano percorrere lunghe distanze in mare aperto, circa dieci anni dopo decise di consegnare un Potter, ordinato da un comandante di una nave cisterna svedese, al suo nuovo proprietario via mare. Ce la fece, nonostante che per tre giorni nel Mare del Nord ci fosse stata Forza 8-9  e si fosse arenato su di un banco di sabbia della costa danese. Con la barca che, in qualche modo sopravvisse quasi indenne, proseguì il viaggio verso l'entroterra, la Danimarca, ed infine, con l'acquisto di un fuoribordo di 6hp poté percorrere le ultime 60 miglia, attraverso il Kattegat, contro un vento gelido.
La letteratura occidentale del tempo riferisce l’effettuazione del viaggio del temibile Mr Smith con il Potter durante il mese di ottobre, ma si consigliano vivamente i potenziali proprietari di questa barca di non tentare traversate epocali durante questa stagione.

What a way to Potter 

Si potrebbe pensare che ben poche persone avrebbero preso in considerazione il fatto di compiere un viaggio del genere su di un 14 piedi zavorrato solo da una piccola chiglia mobile in acciaio. Invece il Potter è stato progettato per la massima stabilità in mare e allo stesso tempo una grande maneggevolezza a terra. La lunghezza di 14 piedi era quella minima che potesse permettere a due adulti di pernottarci comodamente e a viverci in più persone durante il giorno, in più la possibilità di parcheggialo in un garage di dimensioni normali.
Stanley Smith, per ottenere buone prestazioni veliche, ridusse anche il baglio massimo e il bordo libero. Per quanto riguarda il peso il Potter doveva essere trainato da una Mini Morris, quindi contenuto entro i 280 kg. Nonostante queste modeste dimensioni e i tentativi del costruttore nel dissuadere i nuovi armatori ad emulare le imprese di questo progettista intrepido, molti altri Potterers non sono stati in grado di resistere al bisogno di libertà che questa piccola barca a vela poteva regalare (........)
Nota: si narra di numerose avventure, migliaia di miglia, giorni e giorni passati dai Potterers in mezzo agli oceani .

Stable by design

( ........ ) Se c’è poca acqua, basta alzare la deriva mobile, se c’è poco vento non ci sono problemi a muoversi e a bolinare, se ce n’è troppo non ci dobbiamo preoccupare dei limiti a causa della sua rigidità e poi molto dipende dal posizionamento dell’equipaggio, come in una deriva. Le ridotte dimensioni del Potter, il suo peso contenuto e l’armo semplice permettono di fare vela rimorchiando la barca di giorno in giorno. Con una barca come questa ci si può navigare anche in autunno, con qualsiasi tempo, quando le altre barche sono al rimessaggio, fino a spiaggiarla. E se il vento se ne dovesse andare si può anche condurla a remi, mentre le altre, più grandi, rimangono incollate in acqua. Ovviamente ci si può installare anche un motore, quello da 4 hp dovrebbe essere l’ideale, ma la barca si muove davvero bene anche a remi. Una volta tornati allo scivolo bastano 15 minuti per fare tutto, si mette la barca sul rimorchio con il verricello, si mettono via le vele e si butta giù l’albero in un batter d’occhio.
E a questo punto viene da chiedersi del perché i naviganti hanno sempre il desiderio di avere qualcosa di più grande. E come disse Larry Brown nel suo “Sailing on a micro budget” , “.. più grande è la barca e più costa, meno la si utilizza e meno ci si diverte …”. Non c’è nessun premio per chi indovina quale barca egli avesse.

West Wight Potter E-Type, da un articolo di Practical Boat Owner
La West Wight Polycraft produsse il primo Potter agli inizi degli anni ’60. Dal 1967 in poi il compensato marino lasciò il passo alla fibra di vetro, gli stampi furono prodotti dall’americano Herb Stewart che si preoccupò di spedirli all’Isola di Wight. Stewart iniziò la produzione in America su licenza con un grande successo e dove questa continuò con diverse migliaia di esemplari. Stewart, per ottenere lo stampo, dovette fare alcune modifiche al disegno originale delle prime barche vendute al Salone di Londra del 1961, a poco più delle 300$ di allora. L’anno successivo fu lanciato il C-Type che, sulla base delle richieste dei suoi investitori, fu modernizzato da Smith con riluttanza modificando il piano velico, gli spazi in cabina, le linee d’acqua, il pozzetto autodrenante, etc. La produzione del Potter continuò anche nell’Isola di Wight con la Ring Marine fino alla metà degli anni ’70, fino a che Larry Rumbol non acquistò gli stampi nel 1984 fondando la Potter Boat Company nello stesso anno. Fu inizita la produzione con il D-Type, riammodernato rispetto alla produzione precedente. Successivamente i figli di Rumbol introdussero il Nova al quale applicarono ulteriori modifiche. Poi il Potter crebbe di un piede e diventò l’AX.

West Wight Potter E-Type, da un articolo di Practical Boat Owner
Nel 1996, in onore del suo progettista, Stanley Smith, un Potter A-Type è stato ricostruito in compensato marino sulla base degli stampi del C-Type. 

West Wight Potter E-Type, da un articolo di Practical Boat Owner
Considerazione finale e personale, questo barchino ricostruito come l'originale degli anni '60 è meraviglioso. Questo dovrebbe essere l'E-Type, ma non se trova più traccia in commercio purtroppo.


West Wight Potter E-Type, da un articolo di Practical Boat Owner

martedì 7 gennaio 2020

PARAW: l'armo nativo filippino

I PARAW, dal sito El Nido Sailing
Etimologicamente "Paraw", nel dialetto locale, significa una barca a vela che ha la stessa attrezzatura velica basata sui materiali che vennero utilizzati dalle popolazioni che giunsero all'Isola di Panai dal Borneo in cerca di un luogo sicuro.
Il Paraw è composto da 3 elementi:

  • Il Bangka: la canoa con stabilizzatori (trimarano)
  • Il Katig: l'attrezzatura velica 
  • Il Layag: la vela che in origine era ad artiglio di granchio, più una vela di trinchetto
 Il Bangka e il Katig sono costruiti in legno o bamboo.



lunedì 24 giugno 2019

MC 15 SILVANT, sympathique petit voilier

SILVANT MC 15, da leboncoin.fr
E' il mio piccolo battello a vela ideale, economico, si acquista con soli 2000 €, poco ingombrante 4,50x2,30 m, d'epoca del 1967 con una linea deliziosa ed infine leggero da trasportare e maneggiare. Si trova su leboncoin.fr.
C'è anche un blog familiare come il mio che ne parla: Vogue Sifflevent. Andrei a prendermelo nella meravigliosa Bretagna.

SILVANT MC 15, da leboncoin.fr

venerdì 3 maggio 2019

Archeologia della vela, una disciplina sufficientemente approfondita?

La nave di Kyrenia, dal sito Pianeta Euro
La Nave di Kyrenia è il relitto di una nave mercantile del IV secolo a.C. La barca solcò il mar Mediterraneo durante il periodo di Alessandro il Grande e i suoi successori. Affondò in acque aperte a meno di un miglio dal porto di Kyrenia. Il reperto rappresenta l'unica nave arrivata fino a noi dell'antica Grecia. La nave viene considerata ben conservata per circa il 75 %. È collocata all'interno del Museo del naufragio antico nel Castello di Kyrenia. (Fonte Wikipedia)
Di questa nave è stata fatta una ricostruzione, come si vede nella foto, ed è raffigurata sulle monete cipriote da 10, 20 e 50 centesimi di euro. Mi farebbe molto piacere averle.


Vi chiederete perché ho scelto proprio questa nave per affrontare un tema così complesso quale è quello dell'archeologia della vela, tema a mio parere non sufficientemente trattato a livello scientifico nonostante la grande tradizione iconografica che abbiamo a riguardo a meno di quello che ho trovato nel sito di Aldo e Corrado Cherini, un seppur piccolo trattato estremamente interessante ed istruttivo.
La risposta sta in un alcuni mosaici che ho osservato con molto interesse ad Ostia Antica ed uno in particolare nella mia gita a Ravenna, in particolare nella Basilica di Sant'Apollinare.

Foto tratta da quelle della nostra gita a Ravenna
Il particolare che mi aveva colpito erano i riquadri nella vela, riquadri che seppur poco coerenti con quanto andremo a discutere appaiono simili a quelli visti sia ad Ostia che, appunto, nella rappresentazione della nave di Kyrenia.


Il Parco Archeologico di Ostia Antica e i suoi mosaici sono un'autentica meraviglia che nessuno dovrebbe non aver mai visto almeno una volta nella sua vita e poiché Ostia era un antico porto di Roma lungo il Tevere quivi si trovavano le sedi commerciali degli armatori che rappresentavano le loro insegne con dei meravigliosi mosaici in tessere bianche e nere, mosaici oserei dire caratteristici e caratterizzanti tutta l'arte figurativa di Ostia Antica.


Ma esistono anche altre raffigurazioni di navi romane attraverso i mosaici come quelle di Rimini.

Le navi di Rimini, dal sito Chiamamicittà, informazione di Rimini e Provincia
Come potrete aver osservato nelle immagini la complessità della rappresentazione effettuata dagli artisti non può certamente esaurire e spiegare completamente la tecnica con cui venivano effettuate le manovre nelle navi fenicie e romane e solo una ricostruzione come quella che è stata effettuata sulla nave di Kyrenia può aiutarci, almeno in parte, a comprendere.

Nave assiro fenicia rappresentata dall'Associazione Navimodellisti Bolognesi

Nell'immagine tratta dal sito dei Navimodellisti Bolognesi si si può ben osservare come erano composte le manovre della vela e come poteva avvenire la loro riduzione, attraverso una composizione di funi che coprivano l'intera superficie della vela sia in senso verticale che orizzontale.

Ricostruzione della nave di Kyrenia, disegno ricalcato su fotografia, dal sito dei fratelli Cherini
Nel sito dei fratelli Cherini, si fa qualcosa di più, da un'immagine fotografica ci viene rappresentato come presumibilmente  la vela veniva ridotta e come venivano effettuate le manovre. I Cherini ci spiegano che la riduzione avveniva si per diminuire la superficie velica a causa della forza del vento ma anche per rendere possibili determinate andature.
Insomma, un problema estremamente complesso che non posso certamente esaurire in questo modesto post ma certamente interessante e da sviluppare, non solo per il suo grande fascino dal punto di vista storico e archeologico ma anche per capire qualcosa di più sulla fisica della vela e sulla sua storia.


Un altro argomento di estremo interesse è anche quello di come erano strutturate le vele di prua e di poppa che gli osservatori più attenti avranno notato nelle immagini che ho postato, ma questa è un'altra storia.





sabato 13 aprile 2019

"nonnino", il Catyak di Davide

La brochure del Catyak prodotto dalla Dayton Marine
Con vero piacere vi giro la mail di Davide che riguarda questo delizioso catamarano portatile, anche con la bici, e facilmente cartoppabile:

Ciao Francesco, 
in attesa di trovare il tempo per la modifica del Windglider in 'papi', ci tenevo a comunicarti che sabato andro' a ritirare quello che io chiamero' 'nonnino'. Un piccolo catamarano portatile dalle ridottissime dimensioni che nel tuo superlavoro di raccolta di esemplari non e' menzionato. 
Sì chiama Catyak ed e' un Kat molto old prodotto dalla Dayton Marine. 
Ti allego le foto della locandina originale e di quello da me acquistato per 90 euro in Germania.

Non ho potuto dire altro a Davide che il Catyak è veramente delizioso ed un pezzo di antiquariato nautico straordinario.


Bellissima immagine di un sailonbiker con il Catyak:

Immagine tratta da Thru-Hole
E si può caricare sul tetto dell'auto con facilità, fantastico!

Immagine tratta da Thru-Hole
Catyak, perché l'avete abbandonato? Ed infine "nonnino", il bel Catyak di Davide appena arrivato nella sua nuova casa sul tetto dell'auto dalla Germania.


Aggiungo qualche pubblicità d'epoca:

Catyak, the car-top catamaran


domenica 24 marzo 2019


sabato 20 gennaio 2018

Un piccolo yacht d'altri tempi al Ponte a Signa

Il ponte di Signa in un'incisione del 1744 di Giuseppe Zocchi, visto dalla parte di ponente, sullo sfondo si nota il campanile della pieve di San Martino a Gangalandi, via Wikipedia
La scorsa primavera, di ritorno da una gita a Firenze, osservando il Lungarno che ci portava verso la "via aretina" ho pensato che in quel luogo avrei potuto tranquillamente navigare con il mio barchino, un punto in cui l'Arno si allarga e sulle cui placide acque si riflettono le luci della città. Una visione certo romantica ma ,perché no, anche interessante dal punto di vista della navigazione in uno dei luoghi più belli del mondo.
Nella cartolina invece siamo a Ponente di Firenze in cui il fiume si dirige oramai verso il mare, al Ponte di Signa, non lontano dal Parco Renai dove ho visto che hanno aperto una Scuola di Vela chiamata VELAGODO. Interessante iniziativa!

Dal sito VELAGODO


giovedì 16 novembre 2017

The Mini Caraboat (1964)



Gli anni '60 hanno visto l'ascesa del turismo di massa e, con esso, lo sviluppo del campeggio e della nautica. 
In Gran Bretagna, questa crescita ha stimolato il concetto del Caraboat, una strana combinazione nata da una relazione innaturale tra un'automobile (un Mini Van in questo caso), una roulotte e una barca da pesca (con l'albero è possibile navigare con una barca a vela)! 
Il risultato è a dir poco sorprendente! 
Sulla strada la MINI è come un camper in cui la prua della barca appoggiata sul tetto occupa la parte che normalmente viene utilizzata  per un letto matrimoniale. Considerate le caratteristiche della Mini la guida deve essere sportiva, e la domanda che viene naturale è se questa combinazione tra auto e caravan possa essere compatibile soprattutto in termini di tenuta ... 
Arrivati sul bordo di uno specchio d'acqua bastano tre giri di manovella e il caravan ci appare con un angolo di cottura e una dinette. 
Ma il pezzo forte è la barca che tolti i 4 ganci può essere messa in acqua in pochi minuti. 
In questo video epico di British Pathé, il concetto di Mini Caraboat è così rappresentato: mentre madre e figlia preparano il tè (belle pettinature, ndr), il padrone di casa e suo genero vanno a pescare ... Nel frattempo, utilizzato come camper, il Caraboat può ospitare 4 persone per la notte, con i suoi 4 letti matrimoniali ..... Sorprendente, no? 
Mi raccomando però, non c'è motivo di vergognarsi se qualcuno vi dirà che la vostra barca è come un caravan!! 

(maldestramente tradotto ed interpretato da me medesimo da acunautique)



lunedì 22 maggio 2017

Il sommergibile dell'Appennino di Agostino Lenzi

Il sommergibile dell'Appennino, da Barche d'Epoca e Classiche
Che Agostino Lenzi della Stirpe de' Lenzi era una specie di genio che inventò e brevettò un sommergibile agli inizi del Novecento l'avevo già letto in una pubblicazione di Renato Zagnoni intitolata "La Storia dell'Industria del Ferro nella Montagna Bolognese e la ferriera di Casa d'Alessio presso Silla (Secoli XV-XX)", esattamente da pagina 54 in poi, ma che ne fosse stato tratto un bell'articolo anche su "Barche d'Epoca e Classiche" proprio non me lo sarei mai aspettato.
La storia del sommergibile di Agostino Lenzi e la sua perseveranza nel promuovere questa invenzione è veramente curiosa ed interessante ed invito i miei lettori ad approfondirla, e non solo perché Agostino era un mio lontanissimo parente, anche lui discendente di Lazarino de' Lazzari, sellarius in Granaglione agli inizi del 1200.


giovedì 1 dicembre 2016

Carte nautiche, secc. XIV-XVII, dall'Archivio di Stato di Firenze

Dal Progetto Archivi Digitalizzati dell'Archivio di Stato di Firenze
Carte nautiche, secc. XIV-XVII 
Raccolta probabilmente formata nella seconda metà del secolo XIX riunendo, per esigenze di conservazione, il materiale cartografico ritenuto di particolare valore appartenente a vari fondi archivistici (in particolare al Diplomatico). Contiene alcune delle più antiche carte nautiche conosciute e una rarissima carta della Toscana del sec. XVI.

Questo Progetto degli Archivi Digitalizzati dell'Archivio di Stato di Firenze è meraviglioso, come le Carte Nautiche che vi sono raccolte.
Ma è possibile trovare anche la data di nascita di un proprio antenato, magari nel Gonfalone dell'Unicorno a Orsanmichele come nel mio caso.
E' si perché: scala, nicchio, ferza, drago, carro, bue, leon nero, ruote, vipera, unicorno, leon rosso, leon bianco, leon d'oro, chiavi, vaio, non sono solo i nomi delle classi della scuola di Hogwarts di Harry Potter ma anche i Gonfaloni della Firenze medievale, che corrispondono più o meno ai suoi quartieri.

Atto di nascita all'incirca del 1390, dal 79° Libro dell'Età


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