martedì 10 settembre 2013

In Bielorussia nasce la Classe Pico

L'immagine simbolo della Classe Pico
Io li avevo chiamati Mini Cruiser ed in altre occasioni, come nel sito Shortypen, Pocket Cruiser Sailboat
In Bielorussia hanno pensato bene di dargli una denominazione che meglio si adatta ad una classe che preceda la cosiddetta "Micro" che ben tutti conosciamo, la nuova Classe Pico.
Credo che il simbolo di tutte queste piccolissime imbarcazioni a vela cabinate sia il Guppy 13, della quale ho parlato nel post "Il caso Ban Iader e la fine dell'Ocean Wave", storia affascinante quanto emblematica, sia nella storia della nautica che dell'arte.

La barca di ÖGUT, il Guppy 13 uguale a quello di Bas Jan Ader, esposto al Vanabbe Museum
Se andate indietro nei post ne troverete parecchi di quelli che si trovano nella FOTOGALLERY della Classe Pico, non sto' a citarli tutti, ricordo solo l'ultimo che è il Pocket Coastal Cruiser 398 di Aurelio attualmente in costruzione presso il Cantiere Riva; il suo progettista, Henseval Yacht Design ha pubblicato le sue caratteristiche.

SCAMP. foto tratta da Small Craft Advisor
Anche se capisco che per voi lettori, che non avete mai fatto parte del famigerato Circolo dell'Inchiostro a China, capire il Bielorusso sia alquanto arduo, nel sito della Classe Pico sono state stabilite alcune regole; interessante trovo la suddivisione per sottoclassi, Cruiser 3, Cruiser 4 e Cruiser 5 con alcune varianti per la Classe 5.
Una delle ultime operazioni del famigerato circolo in quella zona fu effettuata nel lontano 1986 in cui i nostri agenti stesero una relazione che dette impulso al più grande contributo per l'elaborazione del documento base per la pubblicazione dell'IAEA, Cernobyl's Legacy: Healt, Environmental, and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus, The Russian Federation and Ukraine. Dopo di che fummo costretti ad evacuare e a distruggere tutti i documenti, da quel momento tutto il mondo capì all'istante che la guerra fredda era definitivamente finita.

Il Pocketship, un altro stupendo cruiser appartenenete alla Pico Class, dal sito CLC Boats


lunedì 9 settembre 2013


Attività da imitare: il club del turismo attivo tra le Isole di Pietro il Grande

Dal sito Prim-Kat
Il golfo di Pietro il Grande è una vasta insenatura lungo la costa russa nell'estremo oriente, situata nella parte nordoccidentale del mare del Giappone. Prende il nome da Pietro I di Russia, detto Pietro il Grande, che regnò sull'impero russo dal 1682 alla morte nel 1725. L'insenatura ha una larghezza massima, nella parte meridionale, di circa 200 chilometri, mentre l'estensione nord-sud è di circa 80 chilometri. Le coste sono frastagliate e formano sei insenature minori interne al golfo principale: Amurskij, Ussurijskij, Pos'eta, Strelok, Vostok e Amerika. Nella parte centrale del golfo si protende una lunga penisola, alla cui estremità sorge la città di Vladivostok; nel golfo sono presenti alcune isole, le maggiori delle quali sono Popova, Russkij, Rejneke e l'arcipelago Rimskij-Korsakov.  (tratto da Wikipedia)

Le coste dell'isola di Popova, da Ostrovatour
Certo non sono acque facili, da frequentare solo in piena estate, per navigatori esperti, e per gente che non tema quei begli squali dalla bocca enorme e dai denti aguzzi. Però, a parte questo, varrebbe la pena di prendere un bel catamarano gonfiabile in charter da Prim-kat ed organizzarsi un  tour di uno o più giorni, in alternativa ci si può portare il proprio mettendolo in aereo. Il costo di 1000 rubli per notte, poco più di 20 €, sembra quanto meno attraente.

Dal sito Prim-Kat
Quella di Prim-Kat, il Club del Turismo Attivo, potrebbe essere un'ottima attività da imitare lungo le meravigliose coste e negli arcipelaghi del nostra bel paese. Forza giovani che aspettate? Investimento minimo, lavoro piacevole, divertente e redditizio.


L'isola di Petrova è un'isola nella parte settentrionale del Mar del Giappone, al largo della costa di Primorye . Chiamata in onore di Aleksandr Ivanovic Petrov, ufficiale della Marina Militare Russa. La lunghezza dell'isola è di circa un chilometro, su una superficie di circa quaranta ettari . L'isola è situata di fronte ad una grande baia chiamata "il canto della sabbia" a causa della sabbia bianca che produce un fischio distintivo quando ci si cammina sopra. Questi luoghi appartengono alla Riserva del Lazo. Sul lato ovest, di fronte alla spiaggia, l'isola di Petrova è abbastanza delicata . Ma il suo lato orientale è praticamente inespugnabile a causa delle alte scogliere dove, a poche decine di metri di altezza , nidificano in grandi cormorani neri . 
Due scogli si stagliano al largo della costa orientale che, a causa della loro forma, sono chiamati Babbo Natale e Baba. 
Il Distretto della Riserva del Lazo, che comprende l'isola di Petrova , fu messo sotto tutela da parte dello stato per preservare la flora e fauna costiere uniche al mondo e variamente rappresentate. Molte specie di piante sono sopravvissute all'era glaciale e hanno forti proprietà medicinali. Tra loro ci sono la radice della vita, il ginseng, l'eleuterokok, la citronella e l'Aralia. L' albero del tasso, che è stato molto apprezzato da cinesi, egiziani e da altri popoli per le sue proprietà stupefacenti, cresce fino a 3000 anni di età. Troviamo anche il Tis, una pianta velenosa. Oltre ai famosi alberi del tasso sull'isola crescono molte specie endemiche della regione: cedro ( pino coreano ) , uva selvatica e orchidee .


venerdì 6 settembre 2013

16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Settembre 1939.

In figura 1 
In alto, gli autori con lance, machete, armi e coltelli per la caccia. A sinistra, la loro capanna sulla Cocos Island. Sotto, un cinghiale fornisce cibo e pelle

Eravamo soli. Come vedemmo che la piccola barca della guardia costiera sbuffava rumorosamente allontanandosi verso l'alto mare realizzammo che i sogni d'infanzia e la cruda realtà sono due cose ben diverse, avevamo con noi cibo per solo tre settimane e la barca non sarebbero tornata che fra otto mesi. Questa avventura era cominciata come un viaggio di prova per determinare se eravamo adatti ad una vita da esploratori. Abbiamo pagaiato e navigato con la nostra canoa “ibrida” di 16 piedi fatta in casa giù dalla California, lungo la costa occidentale del Messico e dell'America Centrale, diretti verso Panama. Ci siamo immersi nell'oceano con 70 kg di attrezzature e 4,20 dollari in contanti in tasca. Invece di organizzare una grande spedizione abbiamo deciso di viaggiare da soli, cercare il cibo nella giungla e prendere dall'acqua e dalla terra le necessità della vita, ciò che ci serviva per sopravvivere. 
Abbiamo esplorato, abbiamo trovato l'avventura che cercavamo, raccoglievano e ci è piaciuto. 
Siamo arrivati fino a Puntarenas, in Costa Rica, e lì abbiamo scoperto che eravamo a soli 350 miglia da Cocos, l'isola deserta dei nostri giovani sogni. Forse noi siamo figli della civiltà, ma così ha vissuto Robinson Crusoe. Se lui ha potuto, noi possiamo!
Così la barca della guardia costiera ci ha lasciato nell'isola promettendoci di tornare dopo otto mesi.
Mentre remavamo verso le palme a riva di Wafer Bay ci siamo voltati a guardare il piccolo "Santa Rosa" che diventava sempre di più un granello sull'oceano mentre si dirigeva verso la terraferma. 
In quel momento ci siamo chiesti se avevamo fatto la scelta giusta. Tre settimane di approvvigionamento di cibo, alcuni semi, un magro equipaggiamento da campo, e non un vicino di casa a cui chiedere qualcosa in prestito in un'isola disabitata. 
I due anni di viaggi lungo la costa del Messico e dell'America Centrale ci avevano preparato a tutto questo? 
Avevamo sognato di approdare su questa isola per anni, ed ora non c'era più possibilità di tornare indietro. Il "Santa Rosa" era solo una piccola macchia nell'orizzonte, e come spiaggiammo la canoa nei pressi della foce di un piccolo torrente sulla spiaggia della Wafer Bay cominciammo ad esplorare i dintorni. Dietro la piccola piantagione di noci di cocco a lato del torrente ci trovammo di fronte al peggior spettacolo che avessimo mai visto nel nostro viaggio. Due baracche fatiscenti, forse appartenenti a vecchi cercatori di tesori, erano circondate da mucchi di sporcizia e rifiuti che indicavano chiaramente che chi aveva frequentato questo paradiso prima di noi aveva vissuto una vita poco felice, se non tragica. 
C'era solo una cosa da fare, mettersi al lavoro, una gran quantità di lavoro. 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura2 
Sopra, la realizzazione di un arco indiano a fuoco. A sinistra, attrezzatura da pesca fatta in casa utilizzando cucchiai e attrezzi da cucina. Il grande pesce in figura è un "wahoo," tipico del Pacifico. 

Come se a darci una mano, la pioggia iniziò a scendere a torrenti nel momento in cui iniziammo a lavorare per ripulire la zona. Mentre campeggiavamo sulla sabbia bianca e pulita della spiaggia, abbiamo trascorso lunghe giornate di duro lavoro di rimozione di questa macchia lasciata dall'uomo, e segregato la maggior parte di essa nella profondità del salmastro. Poi ci siamo messi a lavorare sulla nostra capanna, con solo un machete, un coltello da caccia, e un piccolo trapano, utilizzando parte del materiale recuperato dalle vecchie capanne e quanto fornitoci generosamente dal palmeto e la giungla. 
Il nostro rifugio era simile a quelli usati dagli indigeni lungo la costa della terraferma, aveva un tetto molto ripido di paglia per poter defluire il diluvio quotidiano di pioggia. La sera, con la luce del fuoco da campo, abbiamo realizzato gli strumenti per lavorare la terra, una zappa di legno, un rastrello e la pala da utilizzare nel nostro piccolo orto, piantato vicino alla spiaggia. 
Ci era stato detto che nessun orto poteva essere coltivato sulle Cocos e che tutte le verdure crescevano in alto a causa del terreno troppo ricco, ma un po' di esperimenti ci hanno dimostrato che la miscela di terra e sabbia lungo la riva era sufficientemente magra per produrre buoni raccolti di mais, fagioli, chayotes, e simili. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura3 
Ginger accanto alla pittoresca motrice sulla ferrovia del Nicaragua. Al centro, l'equipaggio del "Vagabunda" lungo il Canale di Panama, dopo tre anni di viaggio lungo la costa del Pacifico navigando su di una canoa realizzata in casa. A sinistra, finalmente spiaggiati in sicurezza dopo una tempesta, i viandanti si precipitano a coprire tutto prima che la sabbia faccia danni. 

Per scavare il terreno dell'orto abbiamo utilizzato diversi pezzi di ferro arrugginito che avevamo trovato in zona. Quando la nostra capanna venne completata l'abbiamo trasformata in un vero e proprio laboratorio di artigiani, fabbri, falegnami, tessitori, e di tutto quello di cui c'era bisogno. 
Siamo stati sempre impegnati in ogni minuto della luce del giorno, e spesso anche di notte. Circa la metà del nostro tempo l'abbiamo speso nella raccolta di cibo e materiali. Nell'entroterra abbiamo cacciato i piccoli maiali selvatici che ci hanno fornito carne e pelli di cui avevamo molto bisogno. 
Abbiamo raccolto i lunghi traversi di un vitigno per realizzare le funi di ancoraggio, e legni di vario genere per costruire mobili. 
Quando il tempo lo permetteva, varavamo la canoa e costeggiavamo le rive dell'isola, raccoglievamo le uova degli uccelli, e lungo le spiagge raccoglievamo tutto ciò che ci poteva servire in qualche modo. Il nostro campo presto assunse le proporzioni di una piccola fabbrica. Con dei piccoli ramoscelli avevamo realizzato un aggeggio a forma di imbuto nel quale mettevamo costantemente la cenere del fuoco. L'acqua piovana, che filtrava attraverso le ceneri, successivamente raccolta in un vecchio serbatoio da cinque galloni si sarebbe trasformata in lisciva per la concia delle pelli e la produzione di sapone. Accanto a questo attrezzo c'era un piccolo camino in cui un altro serbatoio da cinque galloni fungeva da bollitore per realizzare l'olio dalla polpa del cocco e dal lardo di maiali. 
Come in una catena di montaggio, accanto a questo c'era un essiccatoio realizzato in fango e ramoscelli per la stagionatura del prosciutto, della pancetta, e del pesce. Avevamo anche una piccola carbonaia, che ci ha fornito il carburante per la nostra fucina, grezza ma efficace, con il suo soffietto realizzato in pelle conciata. 
Infine la tavola da lavoro, costituita da due tronchi di palme tagliate, e un magazzino dove venivano stoccati i prodotti di questa linea di produzione. 
Ci si potrebbe chiedere perché una persona normale dovrebbe andare a vivere in un isola tropicale a lavorare dalla mattina alla sera, ma abbiamo trovato più piacere in tutto ciò che in gioco. 
È vero, abbiamo speso un sacco di tempo ad esplorare, a nuotare, e anche alla ricerca di tesori sepolti ma alla fine eravamo sempre ansiosi di tornare al campo, e di solito con qualcosa in mano che ci aveva suggerito l'idea di realizzare qualcosa di nuovo, magari solo un vaso di fiori o una saliera fatta con un pezzo di bambù oppure con l'eccezionale numero di gusci di noce di cocco una ciotola, un piatto, un mestolo o forse le stesse cose con dell'argilla fine. 
Dopo sei mesi di lavoro e di giorni felici, mi sono svegliato una mattina con un dolore acuto al mio fianco. Appendicite, ho dedotto, e il nostro vicino più prossimo era almeno a 350 chilometri di distanza. 
Mentre ci stavamo chiedendo come effettuare un salvataggio di fortuna, questo è arrivato inaspettatamente da un peschereccio di tonno il cui capitano e l'equipaggio avevano deciso di fermarsi a Cocos per un bagno in acqua dolce. 
Sogniamo di tornare ancora a Cocos Island e fare tutto da capo a meno dell'appendice! E 'solo una piccola isola tropicale, la vegetazione è fitta, rigogliosa, in rapida crescita e molto difficile da tagliare. Le precipitazioni annue sono tantissime. Ma c'è qualcosa in quel posto che ci fa desiderare di tornarci.
Circa due settimane dopo l'incontro con il capitano del peschereccio di tonni siamo ripartiti in canoa lungo la costa di Panama. Il nostro arrivo presso il Canale di Panama ha creato molto scalpore tra i funzionari locali. Era stato segnalato loro l'arrivo di una barca proveniente dagli Stati Uniti, (lunghezza sedici piedi), con tutte le sue carte in buon ordine e che stava per entrare nel loro paese.
Hanno sbrigato tutte le formalità come se fossimo una nave di grandi dimensioni. Tutto ciò fu molto bello, ma quello che accade dopo mise a dura prova l'equipaggio e il capitano del “Vagabunda”.
Avremmo dovuto attraversare il canale nei tempi previsti che, essendo lungo circa 49 miglia, richiedeva un tempo massimo fra le otto e le nove ore, invece ci mettemmo sei giorni. 
A Miraflores, Pedro Miguel, Darien, e in altri luoghi lungo il percorso, siamo stati ricevuti da comitati di accoglienza e invitati a partecipare all'ospitalità tipica di Panama. 
Alla fine abbiamo raggiunto Cristobal, il versante atlantico del Canale di Panama, e abbiamo ufficialmente concluso la nostra avventura, tre anni di avventure, un viaggio di prova per i nuovi esploratori. 
Ora siamo alacremente impegnati nell'organizzare il nostro prossimo viaggio, che si svolgerà nel cuore inesplorato della giungla Maya, tra il Messico e il Guatemala. 


giovedì 5 settembre 2013

Il suo lago è un velo argenteo

Dalla nostra FOTOGALLERY di oggi
Niente di più appropriato se non citare la frase più famosa, per noi, di Lord Byron su Childe Harold's Pilgrimage riferendosi al Trasimeno. Null'altro da aggiungere se non che è stato bellissimo, anche il solo correre dietro ai refoli di un venticello debole.


Per concludere graditissima sorpresa, al club velico locale è arrivato un VIKO S 22 a cui ho fatto qualche foto. 





Insomma, bellissimo, nella FOTOGALLERY c'è qualche altra foto assieme a me che mi diverto nel mio meraviglioso lago.



16000 miglia con 4.20 $ in tasca

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine

16000 miglia con 4.20 $ in tasca, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Agosto 1939.

In figura 1 
Il tragitto di "Vagabunda" e gli autori che campeggiano per la notte. Nell'immagine sotto , l'autore con in mano i pesci catturati sulla costa tropicale del Messico. 

 Il tutto è cominciato con un sogno. Fin da piccoli Ginger e io avevamo voluto diventare esploratori, ma le difficoltà nell'organizzarsi ci avevano sempre fermato. Non c'erano libri su "come diventare un esploratore".  Abvevamo letto i racconti di molte spedizioni, ma nessuno ci spiegava come avevano fatto, per non parlare dei costi, dell'equipaggiamento necessario, la fatica per trasportarlo, le spiacevole differenze derivanti tra i membri delle spedizioni, e le difficoltà con i portatori e le guide locali. Sembrava tutto molto scoraggiante. 
Come sarebbe stato bello se fosse stato possibile andare ad esplorare senza dover perdere tempo con attrezzature ingombranti, disposizioni per guide indigene, e tutti gli altri impedimenti ad un vagabondaggio spensierato, per conoscere le regioni inesplorate del mondo . 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura 2 
Portatori con un carro di buoi durante il percorso a terra. Sotto, realizzazione di una mazza da golf in legno duro, e poi il nostro Golf Club sulla Cocos Island. La borsa è stata tessuta in fibra di palma. 

Poi abbiamo avuto un'idea su come fare. Rifornirsi di cibo, vestiti e riparo nei luoghi a margine del percorso non era altro che un problema di organizzazione. Fin dalla notte dei tempi i popoli della terra hanno fatto così, gli eskimesi, gli africani, gli abitanti delle isole dei Mari del Sud. La loro società, organizzata in modo semplice, gli aveva permesso di procurarsi ciò di cui avevano bisogno con quello che avevano a portata di mano. Perché non potevamo farlo anche noi? Almeno, valeva la pena di provare. 
Come banco di prova abbiamo scelto la costa occidentale del Messico e del Centro America perché le sue migliaia di miglia di giungle, coste e fiumi contengono molte aree inesplorate. 
Questo è stato l'inizio di un viaggio durato tre anni in una canoa di soli sedici piedi. Non abbiamo scelto la canoa per sfizio ma perché era il mezzo più pratico per viaggiare. In due avremmo potuto gestire anche una barca un po' più grande ma non avremmo potuto esplorare le baie poco profonde, i fiumi e l'entroterra. Tutto ciò sarebbe stato impraticabile con una barca più grande, così ci siamo organizzati per costruire ciò che sarebbe servito per i nostri scopi. 
Eravamo al nostro primo tentativo di costruzione di barche. Subito ci siamo resi conto che non avremmo potuto realizzare tutto da soli, l'albero, lo specchio di poppa, piegare i legni e fissare i rivestimenti e coprire il tutto con la tela, ci voleva uno del mestiere a cui chiedere consigli. 
La nostra barca doveva essere capace di solcare le onde, doveva andare a remi ma anche a vela, doveva essere sufficientemente forte da superare le tempeste e capace di portare noi e i nostri bagagli, doveva essere agile, vivace, leggera negli spostamenti ed infine facile da portare a remi. 
Stavamo veramente chiedendo troppo alla nostra nuova barca, così abbiamo deciso di rivolgersi ad un costruttore di barche, “voi potete costruire una barca a vela” ci disse, “oppure potete costruire un surf”, “voi potete costruire una canoa, un kayak o un dory”, “ma voi volete una combinazione di tutte queste cose e, come un animale, questo non può essere realizzato!”. 
Così siamo andati fuori nel cortile sul retro con un tubo e un paio di pale e in poco tempo abbiamo realizzato uno “stampo” in fango. In questo modo abbiamo iniziato a definire la forma “della barca che non poteva essere costruita”. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 3 
La "Vagabunda" pronta per essere rivestita in compensato. Il legno di noce e mogano è stato fissato con 7.000 viti in ottone. Al centro, accendere il fuoco come gli uomini preistorici. In fondo, a vela verso un villaggio messicano. 

Una volta completato lo stampo di fango, fino a che le linee aggraziate della barca non hanno mostrato le qualità di tutto ciò che avrebbe dovuto rappresentare, abbiamo affrontato il nostro primo problema: avevamo ottenuto le dimensioni esterne, come potevamo conoscere le dimensioni interne? Alla fine abbiamo avuto una brillante idea, abbiamo acquistato diverse scatole di fiammiferi, abbiamo accorciato i fiammiferi fino ad ottenere le dimensioni pari allo spessore delle costole, inclusi i raccordi e la tela, poi li abbiamo spinti nello stampo di fango. Successivamente abbiamo rasato il fango fino alla base dei fiammiferi, così abbiamo ottenuto le dimensioni interne della barca. 
Abbiamo cominciato tagliando le costole, dando forma alla deriva, alla poppa e alla chiglia piegando e fissando il legno con un forno realizzato con un bruciatore e un vecchio serbatoio vuoto di gasolio che fungevano da caldaia a vapore. Dopo diversi mesi in cui abbiamo affrontato una enorme quantità di problemi di costruzione abbiamo completato lo scafo impiegando più di 7000 viti in ottone e sprecando più del doppio del materiale necessario. Il ponte è stato rivestito con compensato aeronautico lasciando a nostra disposizione un ampio pozzetto protetto dall'acqua per due.   Abbiamo dotato la canoa di un “armo Marconi” con una superficie velica di circa 10 metri quadri, remi, un mezzo marinaio e un arpione, infine abbiamo cominciato con le attrezzature necessarie per il viaggio.  Il lavoro più impegnativo è stato quello di stabilire quali attrezzature portarsi dietro considerando il limite dei 70 kg che avevamo stabilito. 
A questo punto eravamo pronti per iniziare il viaggio, ma non del tutto. L'80% delle probabilità di successo di una qualsiasi spedizione dipende dalla preparazione. Per questo motivo abbiamo trascorso più di un anno lungo la costa della California facendo esperienza con la canoa soprattutto con mare agitato e tempesta, navigando o approdando in situazioni sfavorevoli con onde alte. Abbiamo nuotato, ci siamo allenati con la bici, e vissuto all'aria aperta arrangiandoci con il cibo in modo da prepararsi a tutte le situazioni possibili. 
Poi, un giorno di ottobre siamo salpati da San Diego, in California, senza aver dato pubblicità all'evento, con 4.20 dollari in tasca, salutati con affetto da parenti e amici e le osservazioni non troppo gentili degli scettici. Anche noi eravamo abbastanza scettici, ma non volevamo ammetterlo. Ciò che ci ha dato il coraggio di lasciare il porto è stata la grande preparazione che avevamo effettuato. 
Però questa non ci aveva preparato a dover procurarsi il pesce tre volte al giorno, dieta obbligatoria lungo le coste aride della bassa California. Un'altra preoccupazione ci è venuta dal fatto che la presenza di sorgenti d'acqua segnalate nelle carte geografiche si è rivelata inesistente. Alla prima sorgente asciutta abbiamo capito come avremmo potuto rifornirci d'acqua e sopravvivere. Setacciammo una spiaggia e raccolto contenitori di latta, tubi, rame da un relitto e altri pezzi di varia utilità, questi sarebbero serviti a realizzare l'attrezzatura per distillare l'acqua di mare quando le sorgenti erano asciutte. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 4 
In alto, l'attrezzatura per distillare l'acqua e poi "cercatori d'oro" Sotto, spintoni tra i frangenti. 

Il nostro aggeggio, una volta terminato, era composto da due latte arrugginite da 20 litri, interconnesse da un tubo, la prima latta serviva da caldaia per far bollire l'acqua di mare, il tubo di raffreddamento serviva a portare l'acqua dissalata nella seconda latta. Eravamo euforici dopo aver scoperto che il nostro aggeggio “salvavita” riusciva a produrre circa un litro d'acqua fresca all'ora.
Veleggiammo e remammo lungo costa durante il giorno e campeggiando e procurandoci del cibo in spiaggia alla sera, così, piacevolmente, lungo la costa della Bassa California fino al Golfo della California, la Tiburon Island e poi giù lungo la costa occidentale del Messico. 
Ogni giorno abbiamo imparato qualcosa di nuovo risolvendo problemi e iniziando nuove avventure.
Un giorno, mentre eravamo accampati nella spiaggia di Sihuatanejo , abbiamo deciso di esplorare le “pinnacle islands” , le Islas Blancas , a poca distanza dalla riva. Pagaiando lungo il fronte mare della più grande del gruppo abbiamo visto una grande grotta marina . Sembrava una buona idea entrare remando e la curiosità ci ha intrigato finché non ci siamo trovati nella più totale oscurità. Abbiamo illuminato la grotta con la nostra torcia di emergenza, uno straccio avvolto attorno a un bastone imbevuto di olio, e abbiamo continuato. Velocemente il tetto della grotta si è abbassato quasi fino alla superficie dell'acqua. A quanto pare però la grotta sembrava continuare oltre. 
Contrariamente a quanto la nostra migliore prudenza ci avrebbe dovuto consigliare decidemmo di proseguire oltre sfruttando la sinuosità delle onde provenienti dal mare aperto e ci trovammo in una grande caverna. Le pareti nere riflettevano la luce della nostra torcia, le onde gorgogliavano nel silenzio fino a che un bianco bagliore spettrale ci si presentò davanti, assieme alla fine della grotta, che si rivelò essere una spiaggia dalla sabbia liscia. 
Siamo approdati con un pensiero, “questo sarebbe il luogo ideale dove nascondere un tesoro!”. Ma dopo aver cercato un po' tra i massi abbiamo deciso di ritornare alla canoa poiché il petrolio della nostra torcia cominciava a scarseggiare, a quel punto ci siamo resi conto che questa non era più al suo posto. 
Mentre Ginger teneva la torcia e io mi sono tuffato nell'acqua scura e ho recuperato la canoa. Come abbiamo trascinato la canoa fin sopra la piccola spiaggia ci siamo resi conto che l'acqua era salita fino alle nostre caviglie e aveva cancellato le nostre impronte. Ci siamo subito resi conto che la marea stava salendo e che il passaggio verso la luce del giorno era sempre più piccolo. Una volta raggiunto il punto del passaggio le nostre paure si sono improvvisamente materializzate, la marea era salita fino al tetto, bloccando la nostra uscita. Era impossibile rimanere all'interno della grotta fino alla prossima bassa marea perché probabilmente saremmo annegati come topi, dovevamo prendere una decisione in fretta. 
Avremmo potuto nuotare sott'acqua, ma questo significava lasciare la nostra piccola imbarcazione, che ci aveva fatto attraversare tante tempeste, a se stessa. Abbiamo quindi deciso di decomprimere il pozzetto, buttato il nostro peso sulla falchetta, e lasciato riempire la barca d'acqua. Mentre la canoa è affondata fino al livello della superficie dell'acqua abbiamo preso la cima, fatto respiri profondi, e nuotato sotto la barriera. Una volta emersi dall'altra parte, abbiamo trascinato la nostra canoa piena d'acqua fino alla luce del sole. 
Ginger e aveva sempre sognato di andare alle Cocos, a Puntarenas in Costa Rica. Avevamo ricevuto il permesso per andare alle Cocos Island, che si trovano a 350 miglia al largo della costa. Le autorità però non vollero ascoltare la nostra volontà di tentare la traversata in canoa, così ci hanno portato fino a questo paradiso solitario sulla barca della guardia costiera, fino a "Santa Rosa". 
Ci promisero che sarebbero tornati a prenderci dopo otto mesi e poi se ne sono andati. Abbiamo remato verso la spiaggia di palme di Wafer Bay con sufficiente cibo per tre settimane. 
Come avremmo potuto sopravvivere in questi otto mesi su un'isola tropicale deserta? Nella seconda parte della nostra storia, che verrà pubblicata il mese prossimo, vi racconteremo della nostra vita di Robinson Crusoe sulleCocos Island.

..... speriamo di ritrovarlo!


martedì 3 settembre 2013

Sailfish, Jackie on board

Jackie, tra le donne più belle della storia, dal sito Nerve
Con una punta di orgoglio credo che fino ad oggi ben poche persone abbiano legato i nomi di JFK e Jackie a questa minuscola barca da spiaggia, il Sailfish, il progenitore del Laser. Eppure il giornalista che commentava le foto che di seguito vi mostrerò scriveva: 

"JFK e Jackie Kennedy sailing together, they showed the world how to trim the sails of life and navigate troubled waters" (tratto da gmagoldie hubpages). 

JFK e Jackie (1953)  mostrano come armare il Sailfish, foto tratta dalla rete
Purtroppo ciascuno di noi sa che JFK e Jackie verranno travolti dalle acque agitate ed insidiose della storia, probabilmente questi sono stati i loro momenti più felici prima che la tempesta sommergesse JFK lasciando scampo solo a Jackie, soccorsa e sopravvissuta grazie all'armatore Onassis.

JFK e Jackie in navigazione nelle acque di Cape Cod, foto tratta dalla rete
Mi colpiscono i loro abiti e l'eleganza della normalità pur essendo il Sailfish una barca minuscola, forse costruita da JFK stesso visto che veniva venduta anche in kit.

I piani del Sailfish della Alcort Inc., tratti da Wikipedia
Questa barca è la progenitrice dei moderni Laser, preceduti dal Sunfish, la versione successiva del Sailfish. Come si può leggere su Wikipedia il Sailfish è stato prodotto i tre versioni di cui due in legno. Quello nella foto con JFK e Jackie, considerate le dimensioni, dovrebbe essere il modello da 4.2 metri, il Super Sailfish.

Una stupenda immagine pubblicitaria degli anni cinquanta con il Sailfish assieme ad una Corvette, tratta da my2fish
Nel 1949 la rivista LIFE Magazine pubblicò un articolo in cui definiva il Sailfish come la più sportiva tra le piccole imbarcazioni a vela.

La rivista LIFE Magazine del 1949
Il Sailfish apparve per la prima volta nel 1945 e venne progettato e costruito a Waterbury nel Connecticut dalla Società Alcort Inc., che prendeva nome dai suoi fondatori Alex Bryan e Cortlandt Heyniger. I due soci erano specializzati nella costruzione di barche da ghiaccio ma inziziarono a costruire il Sailfish grazie ad una richiesta di offerta per una piccola tavola a vela per la Croce Rossa. Il progetto non andò a buon fine con La Croce Rossa ma Alex e Cortland ne iniziarono la produzione per conto proprio. 
Nel 1969 la Alcort Inc. venne ceduta ad altra proprietà che mantenne il nome e proseguì la produzione del Sailfish, così come l'abbiamo conosciuto, fino al 1975.

Un Sailfish in legno del 1960 restaurato, tratto da Wikipedia
Ho trovato anche un video di un Sailfish in navigazione.



Insomma bellissima questa tavola con rigging velico, come la Jackie. Ho aggiunto una nuova perla al mio Museo della Piccola Nautica che, se potessi, mi procurerei subito da mettere in mostra.


lunedì 2 settembre 2013

Longing for a Sail

Tratto da Classic Boat - Dicembre 2012
(Liberamente tradotto e interpretato da me medesimo da Classic Boat - Dicembre 2012. Realizzare a fatica di questi post mi rende orgoglioso editore di Terraferma Sailors).

Il 12 maggio 1937, cinque nuove identiche derive a chiglia regatarono insieme per la prima volta al largo di Cove e Kilcreggan, nel Firth of Clyde in Scozia. Correvano per celebrare l'incoronazione di Re Giorgio VI che si teneva in quel giorno e, così facendo, hanno fondato la Loch Long One Design Class. Lo scopo originario era quello di fornire ai membri del Loch Long Sailing Club una flotta di barche poco costose da regata con la rielaborazione di una semplice, sicura ed elegante deriva a chiglia, la Starboat, in norvegese (Stjambat), di James Cron . Poco è cambiato nel corso degli anni, e il Loch Long conferma con un esempio unico e meraviglioso la diversità della nautica britannica. La zavorra in ferro e il fasciame Oregon sono tra le molte caratteristiche che mantengono basso il costo di costruzione in questa classe, aggiunti al ringging di concezione semplice e non sovrapposto tanto che un marinaio qualsiasi, anche con poca esperienza può imbarcarsi e iniziare a regatare. Premesso questo, la maggior parte degli armatori ritengono che il Loch Long richieda diversi anni di pratica prima che si possa emergere in regata. Invece il piano velico moderato e l'agilità in navigazione sono il punto di forza del progetto, in grado di reagire con tutte le brezze, velocemente in virata, consentendo duelli ravvicinati. Anche se proveniente da una piccola classe locale residente sul Clyde, i Loch Long oggi si possono trovare alle estremità opposte dell'Inghilterra: da un lato la flotta scozzese, dall'altro un numero altrettanto grande di barche sulla foce di marea del fiume Alde nel Suffolk.
Come molte altre classi di una certa età, il Loch Long è diventato un “classico” per diritto di appartenenza, eppure se il progetto festeggia il suo 75 ° anniversario, la flotta mostra che i Loch Longs sono ancora nel fiore degli anni. Per celebrare il Giubileo di Diamante del Loch Long sono state pianificate una serie di iniziative che vanno dal Loch Long Week annuale sul Clyde per poi proseguire con il Metre Yacht and Keelboat Regatta (ora chiamata Cowes Classic Week) al Cowes e all'Aldeburgh Yacht Club regatta in SullOik.
Diverse barche di Aldeburgh hanno deciso di partecipare a tutte e tre le manifestazioni per rendere la stagione ancora più speciale.

Tratto da Classic Boat - Dicembre 2012
A BUMPER SEASON 

Le celebrazioni sono iniziate a Aldeburgh il 9 giugno con una ricca colazione scozzese accompagnata da un suonatore di cornamusa in omaggio alle origini scozzesi del design. Poi le 19 barche iscritte hanno sfilato con il commodoro del Loch Long One Design Owners Association, Jimmy Robinson, in testa. 
La regata è iniziata un mese dopo, quando il Cove Sailing Club ha ospitato l'annuale Loch Long Week. Le 17 barche di casa hanno accolto ben sette barche dello Yacht Club Aldeburgh nel Suffolk e una è arrivata da Tobermory a Mull. Nonostante la notevole distanza sono arrivati tutti senza problemi e sono stati accolti dagli armatori locali che hanno aiutato i viaggiatori stanchi scaricando i rig e loro barche fino a fare le ore piccole. I locali hanno dominato, ma ci sono stati frequenti incursioni da parte di quelli del Suffolk nella top ten, e anche tra i primi cinque. L'uso degli spinnaker durante le regate settimanali ha messo gli ospiti in netto svantaggio poiché i regatanti di estuario di solito optano per il loro non utilizzo in casa. Questa differenza può aver causato una distorsione durante la Loch Long Week, ma a livello locale, se gli spinnaker hanno attirato nuovi marinai nella flotta Clyde la decisione di non utilizzarli ha incrementato i numeri a Aldeburgh. 
Per celebrare l'anniversario, nel corso della settimana sono stati organizzati una serie di eventi tra cui la visione di un eccellente video prodotto da Thomas Dolby. Al tè celebrativo hanno partecipato armatori del Loch Long vecchi e nuovi, con ospite d'onore il "giovane" Tan Boag, che a 82 anni e come figlio del prolifico costruttore del Loch Long, William Boag, ha partecipato alla costruzione di circa 50 Loch Longs. 
Ognuno ha condiviso i ricordi felici e le soddisfazioni che questa classe molto amata gli ha concesso. Il Royal Northern Clyde Yacht Club ha ospitato la cena tradizionale che ha concluso la settimana, che ha salutato in grande stile anche i pochi che avevano le teste arruffate per l'ultima giornata di gare. 
Pamina, timonata da Mark Bradshaw, ha vinto la regata per la quarta volta, dopo otto vittorie in 10 gare. Scirocco, la barca più vecchia della flotta e che faceva parte del gruppo originale degli yacht costruiti nel 1937 da Colquhoun di Dunoon è arrivata al 20 ° posto nella classifica generale, posizionandosi al 12° posto in una gara, all'età di 75 anni. Il più alto in classifica,proveniente dalla flotta di Aldeburgh, è stato il nuovo arrivato, Bruce Johnson, che ha raggiunto la nona posizione con Hussar. 

Le caratteristiche del Loch Long, tratto da Classic Boat - Dicembre 2012
HOTFOOT TO THE SOLENT 

Per il secondo anno consecutivo la Cowes Classic Week ha accolto la classe Loch Long nel Solent con l'inizio della stagione, così come i raggi di sole del Solent e la X One Design. Un certo numero di armatori aveva partecipato alla regata dell'anno precedente e si crogiolava all'idea di portare di nuovo la propria barca a vela fuori dell'Alde, nella culla dello yachting britannico. Il tempo era soleggiato, la brezza leggera, rendendo la regata tranquilla. Le barche sono state comunque premiate con una gara molto divertente che ha avuto il privilegio di competere per la Queen Victoria Jubilee Cup, il 75 ° anno della classe. La Coppa, che è stata presentata al Royal Yacht Club di Londra dalla regina Vittoria nel 1886, è stata vinta da Pippin, condotta da Jimmy Robinson con Bryn Evans. I premi sono stati consegnati dal Campione Oceanico Mike Golding nel corso di un magnifico convivio al Royal London YC. 

Tratto da Classic Boat - Dicembre 2012
FRIENDLY AND COMPETITIVE 

I Loch Longs che avevano partecipato alle regate di Cowes hanno fatto ritorno a Aldeburgh in tempo utile per l'annuale Yacht Club Regatta, alla fine di agosto. Negli ultimi anni, la classe è cresciuta fino a diventare la più grande flotta in regata, e 30 barche si sono presentate in fila per lo start iniziale, più che per il Loch Long Week sul Clyde. La regata è stata competitiva, attraendo giovani talenti dei club, così come gli armatori provenienti da fuori Aldeburgh. Attualmente sono presenti circa 50 Loch Longs nella zona circostante il club, dei quali 30 attivi nella navigazione nel fiume e nelle regate. Il locale Simon Fulford si è portato via il trofeo della Week's Class Trophy in Whim, ottenenendo quattro vittorie in sei gare. 
La crescita della flotta nel Suffolk è stata riscontrata soprattutto dal 2003, quando l'Aldeburgh Yacht Club ha ospitato il suo primo Loch Long Week, 41 anni dopo la fondazione della flotta nel club. Il Club ha ospitato l'evento altre due volte, nel 2008 e nel 2011 con l'intenzione di organizzarne uno anche nel 2013.
Parlando con i Johnson, i proprietari di Hussar, la cui prima esperienza nella classe era di quest'anno, hanno trovato la classe molto cordiale e accogliente, tanto che hanno già prenotato per le regate del prossimo anno, con l'intento di fare maggior pratica. 
Una barca da regata di legno, soprattutto di una certa età, richiede una manutenzione costante e regolare. Entrambe le flotte sono mantenute in condizioni da regata grazie all'amore dei loro armatori, molti dei quali hanno ricevuto le barche dalle loro famiglie nel corso di due generazioni o più. Sette yacht di Aldeburgh sono stati completamente restaurati negli ultimi anni con cinque “new entry” costruite da Peter Wilson, della Aldeburgh Boatyard Company, l'ultimo dei quali, Fiona, nel 2007. 
Non si può fare a meno di ricordare che la classe ha un che di un mix colorato e diversificato di barche con molte varianti nel”one design", ma con compromessi ragionevoli attuati nel corso degli anni per permettere a più persone possibili di avvicinarsi a questa barca, rigorosamente costruita tutta in legno e rifinita con una gamma di attrezzature e vele di qualità che non si vedono nelle altre classi. 
Il 2013 vedrà nascere la sua 142-esima Loch Long costruita presso il cantiere di Brian Upson at Slaughden in Suffolk. 
Le differenze, spesso contese, tra le varie barche non ha ostacolato il successo di questa classe in acqua, con barche di tutte le età in lizza. La loro maneggevolezza e familiarità ha attirato molti armatori permettendo a molti equipaggi di presentarsi anno dopo anno. 
Nel 2012 la classe non ha celebrato solo il suo successo passato, ma ha posto le sue basi per il futuro. Prendendo come punto di riferimento il suo Giubileo di Diamante si è deciso di concordare regole più severe per l'associazione di classe. Sono previsti molti miglioramenti che si accordano pienamente con i piani originari con lo scopo di chiarire certe “aree grigie”. 
La classe non è mai stata così forte e il futuro delle due flotte, per quanto distanti tra di loro, sembra luminoso assieme.



sabato 31 agosto 2013

Construction and Sail Plan of a 10 foot Dinghy

10 foot Dinghy Plan, dal sito Yachtingmonthly
Nel 1912 il Royal Cruising Club organizzò un concorso per la progettazione di un Dinghy da 10 piedi da utilizzare per diporto nautico. Nel sito Yachtingmonthly si trovano una serie di disegni appartenenti ad alcuni dei partecipanti: Arthur Briscoe, T Harrison Butler, L Boughton-Chatwin and W S Draycott.


Dinghy / Life Boat combination

Dinghy / Life Boat combination, dal sito di Lin & Larry Pardey
Interessante questo tender a vela predisposto come scialuppa di salvataggio, proposto sul sito di Lin & Larry Pardey ma progettato da Steven Callhan
Credo che potrebbe essere facilmente riprodotto anche su di un Walkerbay 10 di cui abbiamo già parlato più volte in precedenza.
Queste sono le sue caratteristiche tecniche:

Caratteristiche del Dinghy / Life Boat, dal sito di Lin & Larry Pardey
Un dinghy / Life Boat in navigazione.

Dinghy / Life Boat in navigazione, dal sito di Lin & Larry Pardey


venerdì 30 agosto 2013

Die HABER 660 ist eine komfortable Segelyacht



Haber 660, il suo design è basato su di un modello precedente che molti anni fa stavo per acquistare direttamente in Polonia, la sua linea semplice da piccolo motorsailer mi aveva affascinato. Come al solito però fu il peso, intorno ai 1200 kg e per me eccessivo per i limiti imposti dalla mia vista, che mi fece desistere. Mi ricordo che lo scafo aveva un bel colore verde, il carrello era compreso ed il prezzo si aggirava intorno ai 12000 €. L'Haber 555 che si vede nella figura sotto in vendita su Jacht Market costa molto meno, intorno ai 6000  € credo, ma non so se è già stato venduto.

Haber 555, il modello precedente dell'Haber 660, dal sito Jacht Market
L'Haber 660 di oggi ha le seguenti caratteristiche tecniche:
Lunghezza totale: 6,60 m
Lunghezza al galleggiamento: 5,70 m
Larghezza: 2.50 m
Lunghezza albero: 5.60 m
Sup. randa: 21,4 m2
Sup. genoa 9,0 m2
Peso: 1350/1700 kg
Altezza in cabina: 1,85 m
L'offerta che mi fecero circa otto anni fa per uno yacht nuovo, completo di tutto, mi portava fuori dal mio budget che era inferiore ai 20000 €, mi sembra di capire che oggi ci vogliano poco meno di 40000 €.

Per un Haber 660 ci vuole un grande fuoristrada e la patente BE, dal sito Haber Yachts
Credo che l'Haber 660 sia uno yacht comodo, sicuro, spazioso e, tutto sommato, non troppo costoso, specialmente se si cerca nel mercato dell'usato. Certo la linea è quella del motorsailer che nulla ha a che vedere con le linee d'acqua delle barche a vela sportive e da crociera.

I comodi interni dell'Haber 660, dal sito Haber Yachts


giovedì 29 agosto 2013


Svezia, dal 2015 galera per le barche che scaricano in acqua



Dal 1° aprile 2015, speriamo che non sia un pesce anche questo, in Svezia saranno vietati i WC marini, ovvero "Skit inte i sjön!", che vuol dire No alla merda in acqua!.
Saranno previste multe salatissime e fino a 2 anni di galera, sarei curioso di sapere quanto darebbero in quel paese agli evasori, elusori, corruttori e riciclatori di denaro sporco che, presenti nel nostro, ricorrono alla Costituzione.
Ovviamente saranno presenti lungo tutte le coste di quel paese una serie di "ricettori" per la raccolta degli scarichi.

Stazione di scarico, dal sito Batmiljo
Via: Hamnen.se


Barchette di carta: la nave del drago

Il "drakkar" vikingo, dal blog Inkjetpaperscissors
Drakkar Longship, meglio conosciuta come "nave del drago", è il modello di una piccola nave da guerra vikinga che serviva per portare solo una dozzina dei guerrieri più addestrati e feroci, capaci di saccheggiare, bruciare e uccidere nei villaggi nemici senza scrupoli.
Questa nave fa parte di una collezione più ampia di creazioni che prevede la realizzazione di tutto il villaggio vikingo con tanto di case, pontili e carretti scaricabili dal sito Inkjetpaperscissors. Davvero carino!

Il pontile e il ponte del Villaggio Vikingo


mercoledì 28 agosto 2013

Il problema mai affrontato delle rampe troppo ripide

Lo scivolo di Castiglione del Lago è decisamente troppo ripido per un auto normale
Nella rivista olandese on-line De Telegraaf Vaarkrant si è finalmente trovato il coraggio di parlare con onestà di questo problema, anche se solo dopo l'ennesimo incidente in cui una donna è rimasta ferita durante le operazioni di varo della sua barca (via: RTV Utrecht).
Purtroppo, qua in Italia, neanche gli scivoli progettati di recente sembrano rispettare le regole del buon senso, si veda quello di Castiglione del Lago, realizzato nel 2003, che ha una pendenza, a mio parere, pericolosa se si tiene conto che questa dovrebbe aggirarsi al massimo intorno ai 7 gradi, che corrispondono a circa il 12% in percentuale.
Però in Olanda non tutti la pensano così. Infatti il signor Van der Jagt che cura il sito Trailerhelling, dove si possono trovare menzionati la gran parte degli scivoli olandesi, asserisce che il problema principale sussiste nella sopravvalutazione dei propri mezzi e la relativa sottovalutazione della pendenza dello scivolo.
Effettivamente io non  mi sono mai sognato di varare e alare la barca con la mia auto nello scivolo di Castiglione del Lago però questo non vuol dire che chi progetta porti non debba pensare anche ai rischi che possono correre gli utenti se la rampa è troppo ripida.
Certamente una cosa da fare prima di accingersi a varare la barca sullo scivolo è quella di consultare e avvertire la Capitaneria di Porto, se non si ha un potente fuoristrada a portata di mano e si hanno dubbi è sempre consigliabile orientarsi verso l'utilizzo di una gru, anche se costa qualche decina di euro di più.
Oltre a questo vengono molto in aiuto, ove rilevate, le immagini di Street View, BingMaps e Marinas.
Una volta mi sono divertito a realizzare un INCLINOMETRO per carrellatori. Boh, chissà se funziona!
Nell'immagine di seguito riporto lo scivolo di Porto Santo Stefano vista con Street View che sembra avere una pendenza ed una larghezza ottime e per questo motivo molto utilizzato.




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