lunedì 16 settembre 2013

SKROWL 434, a la recherche du bateau ideal

Skrowl 434, dal sito Bigornick
Eric, l'autore dell'interessante articolo sui Tjotter pubblicato su Nauticaltrek che vi ho presentato qualche giorno fa, mi ha segnalato questa eccezionale novità nella ricerca e nella realizzazione di piccole barche a vela che offrano il massimo del rendimento in termini di vivibilità, trasportabilità, estetica, economicità e sicurezza in mare. 
Il progetto, realizzato da Yann Quenet, si chiama Scrowl 4.34, ha le caratteristiche di uno "scow", una barca a fondo piatto e largo con la prua arrotondata, come abbiamo visto nella Revolution 22.
Yann, già realizzatore di un altro piano pregevole quale il Bigornick, è in avanzata fase di realizzazione del suo Skrowl 434, come potete osservare nella FOTOGALLERY.

Lo scafo dello SKROWL 434 in via di completamento, dalla FOTOGALLERY di Yann
Queste sono le sue caratteristiche tecniche principali:
Lunghezza: 4.34 m
Larghezza: 2.38 m
Peso a vuoto: 672 kg
Dislocamento totale: 1066 kg
Sup. velica totale: 12.64 mq
Peso chiglia: 220 kg
Materiale scafo: compensato marino stratificato
Materiale albero: misto carbonio
Costo dell'autocostruzione: 8000 €
Tempi di costruzione stimati: 700 ore circa

La poppa dello SKROWL 434 in via di completamento, dalla FOTOGALLERY di Yann
Su Nauticaltrek, nella sezione "Noveau Petit Bateau Rigolos" di queste piccole barche dalle prestazioni eccezionali se ne parla da tempo ed io di certo non sono all'altezza di dare valutazioni oggettive dal punto di vista tecnico, certo è che questa ricerca è estremamente interessante e da approfondire.
Con il Bigornick, Yann ha anche realizzato un efficientissimo sistema di riduzione delle vele, come mostrato nel video assieme a questa bellissima barchina che egli stesso produce.




sabato 14 settembre 2013

DinghyGo, Waterkampionen!

DinghyGo, un grande successo al Southamptom Boat Show, via Facebook
DinghyGo, questo piccolo gommone a vela, del quale abbiamo parlato più volte, piace sempre di più e ha riscosso numerosi successi sulla base dei test effettuati da importanti riviste internazionali, una tra queste Sailing Today
In più come potete osservare dalle foto il DinghyGo 275 ha un fratellino più piccolo, il DinghyGo S (220) che, pur avendo una capacità di carico fino a 3 persone (350 kg), è più leggero e più facilmente trasportabile. Davvero fantastico, certamente ottimo da portare anche con la bici considerando che il suo peso totale con il kit velico non supera i 35 kg.

DinghyGo S, via Facebook
Il prezzo del nuovo DinghyGo S si aggira intorno ai 2300 €, non male per una vera e propria barca a vela e tender che si porta in una borsetta.

DinghyGo S, via Facebook
Questo è il video del test effettuato da Sailing Today.



Più di tutto però mi è piaciuto l'abbinamento che ha fatto la rivista olandese Kampeeergek con la piccola roulotte Pinocaravan, una tipo di vacanza che, tra roulotte e barca, si acquista con poco più di 12000 € e ci si va ovunque, al lago, al mare, nei fiumi e nei canali, in ogni parte d'Europa.

Dal profilo Facebook di Pinocaravan

venerdì 13 settembre 2013

Trevignano Romano, un bel porto a secco dove cominciare con un Farr 640


Non ho potuto fare a meno di notare che su Subito.it c'è un bel Farr 640 Winning Cat, ristrutturato, in vendita ad buon prezzo, situato in un posto, sul Lago di Bracciano, molto bello e a pochi chilometri dal mare e dalla nostra meravigliosa Capitale. Un compromesso certamente da valutare e allettante per chi abita da quelle parti. 
Del Farr 640 ne abbiamo già parlato su "Farr 640 Winning Cat, Farr facile". Come si vede questa barca è gestita in un porto a secco, aspetto non indifferente se ci spaventano i costi, sicuramente inferiori che per un ormeggio.

Particolare del Farr 640 in vendita su Subito.it


giovedì 12 settembre 2013

Viko 27 Bj.10



Non è tanto far pubblicità a queste barche che sono in vendita ma il fatto che vengono mostrati gli interni e gli esterni. In questo caso sono sicuramente da valutare gli ampi spazi, la carrellabilità, anche se con un mezzo potente, ed infine il prezzo, sicuramente attraente per una barca con cui si può navigare in tutto il Mediterraneo. Ce n'è un Viko 27 anche in navigazione.



Step by step, come realizzare un tender a vela di sei piedi alla vecchia maniera

"Training Ship" for the young sailor, da Popular Mechanics Magazine
(maldestramente tradotto ed interpretato da me medesimo da: Popular Mechanics Magazine)

Questo sei piedi, piccolo e costruito artigianalmente, non è solo una eccellente barca a vela ma è così leggero da poter essere trasportato in acqua su un piccolo trolley. Se il timone e l'albero vengono rimossi, può essere trasportato ovunque da una sola persona. 
Progettato e costruito da Stephen T. Crosby, di Balboa Island in California, per i suoi figli affinché potessero imparare l'arte della vela. Può trasportare due bambini o un adulto, e dispone di tutte le attrezzature necessarie di una vera e propria barca a vela. 

Figura 1, piano velico e dimensioni
Le dimensioni generali sono indicate nella fig. 1. Da questa potete notare che il boma è situato bel al di sopra del pozzetto in modo che lo skipper abbia una visione completa, e anche per evitare incidenti. 

Figura 2, piano di coperta
Il piano di coperta che è mostrato in fig. 2 evidenzia il baglio eccezionalmente ampio, diminuendo la possibilità di ribaltamento. 

Figura 3, il musone di prua
Ma iniziamo a costruire la barca con la prua, come mostrato in fig. 3. Sarà necessario un pezzo trapezoidale in legno di pino duro, la prua in quercia verrà avvitata alla fine. 

Figura 4, assemblaggio delle paratie laterali
Nei particolari in fig. 4 viene mostrato come, partendo dalla prua, le paratie laterali debbano essere piegate. Poi deve essere realizzato lo specchio di poppa, fig. 5. 

Figura 5, lo specchio di poppa e lo scafo in sezione
Si tratta di un pezzo unico in mogano o rovere con tacchetti di legno alle estremità. Per modellare le paratie dello scafo, che dovrebbero essere di circa un piede più lunghe del necessario, bisogna avvolgerle in un sacco di juta, una alla volta, e versarci sopra diversi secchi di acqua bollente. Dopo che l'acqua ha bagnato completamente tutto, e mentre le tavole sono ancora calde, assemblarle come mostrato in fig. 4. Alle estremità delle paratie, sul lato della poppa, vanno fissati quattro listelli provvisori (due per lato) in modo che servano da vano di scorrimento/ contenimento di una corda che, una volta legata, terrà le paratie a contatto con lo specchio di poppa, fig. 4. Per stringere la corda potrà essere utilizzato un bastoncino. A questo punto si possono avvitare le paratie ai listelli laterali fissati sullo specchio di poppa. Le viti da utilizzare devono essere in ottone a testa piatta. Il lavoro finito, apparirà come in fig. 4, dopo di che le parti di paratie eccedenti devono essere tagliate come indicato dalle linee tratteggiate.
Per sostenere il ponte dovrebbe essere applicata temporaneamente una traversa curva, come si vede in fig. 5, distante 15 pollici dalla prua con lo scopo contenere le paratie laterali. Questo sostegno può essere lasciato, oppure se si desidera rimosso in seguito. Altri dettagli costruttivi sono riportati nella figura successiva. 
Figura 6, costruzione dello scafo
Una volta fissate le paratie laterali dovranno essere applicati la chiglia ed i listelli che fanno parte dello scheletro dello scafo. Si tratta di listelli di quecia da ¾ x 1 in. I correnti che vanno da prua a poppa devono essere cotti a vapore o immersi nell'acqua calda per ottenere una piegatura simile a quella delle paratie laterali. I correnti dovranno essere fissati con viti in ottone a testa piatta distanziate di 1 ¼ di pollice l'una dall'altra. I bordi delle paratie laterali e dei correnti devono essere piallati in modo da offrire in buon supporto per le tavole da applicare sul fondo. Girare la barca a testa in giù e applicare le tavolette da 3/8 x 5 in. Queste devono essere piallate lateralmente (smussate) per ottenere tra le stesse una scanalatura a “V” in modo che alla fine possano essere riempite con il materiale per il calafataggio o le resine, figura 7. I pannelli devono essere leggermente più lunghi della larghezza della parte inferiore in modo che possano essere tagliati in modo uniforme dopo che sono stati fissati. Prima di avvitare i pannelli, applicare una guarnizione con colla/ silicone marino in modo da realizzare una giunzione a tenuta d'acqua. 
Figura 7, calatafaggio
Fatto questo è arrivato il momento di fissare il paramezzale e i listelli. Utilizzare chiodi zincati e sigillare la testa. Calatafare con cotone le scanalature a “V” poste su fondo, utilizzando uno sgherzino a freddo, e versando successivamente colla marina calda sopra di esso. La chiglia e skeg sono devono essere attaccanti. Si noti come la chiglia debba essere segata a poppa in modo che si crei una striscia continua lungo il fondo dello skeg e dello specchio di poppa. Fissare i listelli, le cornici e le costole che aiutano a sostenere le paratie ed il ponte come si vede in fig. 6. Sono previste anche due sedute, il vano di alloggiamento dell'albero la cassa della deriva che prevede un taglio. Le posizioni e le forme sono visibili in fig. 2 
Per quanto riguarda il ponte è prevista una copertura in tela che viene tirata tra la falchetta e la mastra. I bordi vengono coperti da una cornice. 

Figura 8, deriva e cassa della deriva
La realizzazione e le dimensioni della deriva sono rappresentate in fig. 5 e 8, utilizzando colla marina per le giunzioni tra i tacchetti di legno duro nelle parti superiori ed inferiori. Bisogna fare attenzione ad applicare una guarnizione imbevuta di colla marina/ silicone tra la cassa della deriva ed in paramezzale quando questi vengono uniti. All'interno della cassa della deriva dovrebbero essere applicate tre mani di vernice prima dell'assemblaggio visto che dopo, al suo interno, non sarà più possibile verniciare. La seduta, posta nel mezzo della barca, è costruita sopra la cassa della deriva, come mostrato in pianta. La deriva può essere realizzata con un pezzo singolo da ¾ x 11 in. e di 32 in. di lunghezza, tagliata sul lato superiore con l'angolo come mostrato in fig. 8. Due listelli posizionati in alto non permetteranno a questa di uscire dalla cassa. La deriva deve essere realizzata in modo che lo scivolamento nella cassa sia leggermente forzato. La quercia è un buon materiale per realizzare il timone a causa del suo peso. Per evitare che si rompa puoi mettere due listelli da ¼ x 1 ½ in, oppure due barre in ottone da ¼ in. 

Figura 9, timone, albero, boma, trozza e skeg
Il timone è attaccato allo specchio di poppa, sulla quale sono fissati due anelli, con due perni in ottone, come mostrato in fig. 9. 
L'albero può essere realizzato con un palo da tenda in legno duro avente un diametro di almeno 1 ½ in., idoneamente squadrato sul fondo per il suo vano di alloggiamento e leggermente rastremato nella parte superiore. Nella parte superiore dell'albero, come si vede in figura, deve essere realizzata un'asola nella quale inserire una puleggia con una ghiera per sollevare la vela in sicurezza. Per realizzare il boma è sufficiente un buon manico da giardino e dovrebbe essere lungo 5 piedi e 6 pollici x 1 in. di diametro. La trozza per il boma po' essere realizzata con due braccetti avvitati sul boma ed una striscia di pelle inchiodata all'interno, fig. 9. 
La vela può essere realizzata in cotone naturale, tagliata come in fig. 1 o ancora meglio nell'immagine di apertura. Si noti che nella vela non ci sono anelli poiché questa prevede solo due ampi orli per farla scorrere nell'albero e nel boma. La vela deve essere rinforzata con pezzetti di tela agli angoli e un anello zincato o di ottone deve essere cucito nel picco. Nella vela, nei punti indicati, devono essere cucite delle stecche in abete di 1/8 x 1 x 24 in. 
Con il bozzello, le bitte, l' anello e gli scalmi montati, la barca è pronta per essere dipinta. Sul fondo utilizzare una vernice a base rame, che viene fornita in colore rosso o verde, invece sui lati dare due mani di bianco. L'ultima mano può essere una miscela di biacca e trementina che una volta asciutta rimane "gessosa", per andare via lentamente mentre si usa la barca, in modo da mantenere lo scafo più pulito e più attraente. Tutte le parti in mogano e quercia, come il timone, dovrebbe essere rifinite nel loro colore naturale, con due mani di coppale. La deriva e la chiglia potranno essere dipinte di un rosso brillante. Per l'interno è indicata una mano di verde o grigio. 

Una barca facile da portare e gestire


mercoledì 11 settembre 2013


martedì 10 settembre 2013

Wat is een tjotter?



Cosa è un Tjotter? Grazie alla gentilissima segnalazione di Eric che, nella nota rivista on-line francese Nauticaltrek partecipa con il nome di Eric17, ho potuto finalmente parlare di queste bellissime barche a vela olandesi, delle vere e proprie opere d'arte e ingegneria navale. 
Eric, nel suo articolo Le Tjotter, Petit Batave Rigolo ha tentato con successo di riordinare un po' le idee dandone una classificazione dal punto di vista costruttivo e tecnico. 
In particolare il Tjotter ha una lunghezza massima intorno ai cinque metri, le sue dimensioni contenute dipendevano dalla necessità di navigare lungo i canali più piccoli della Frisia, oltre che in mare aperto. Molte di queste barche, oramai solo usate, sono decorate con sculture e vernici in oro meravigliose.

Le fantastiche finiture del Tjotter, foto tratta da Nauticaltrek
Ma vediamo un po' la sua storia se ci riusciamo ad intendere con l'olandese.
Il Tjotter è una barca a vela tradizionale olandese in legno lunga circa cinque metri. Ha un fondo piatto e arrotondato e le derive laterali anziché una chiglia. Assieme allo Friese Jacht e al Boeier, il Tjotter appartiene alla famiglia di barche frisone tradizionali.
Queste barche, purtroppo, sono tanto belle quanto è sempre più rara la loro apparizione in acqua. Ci sono circa 70 Tjotters e solo 17 appartengono al Friese Jachten originale.
Un centinaio di anni fa il Tjotter era un fenomeno comune da ammirare sulle vie navigabili olandesi, ma non solo in Frisia, anche in altre zone dove il trasporto in acqua era l'unico sistema possibile, come in Nuova Zelanda.
Il piccolo Tjotter è stato utilizzato dai pescatori di anguille, dagli agricoltori, ma anche per il trasporto di piccole merci. Così il mugnaio Woudsend riforniva con il suo Tjotter tutte le panetterie della zona.
L'attrezzatura della barca è molto semplice, economica ed efficace e questo principio è valido fin dal più piccolo dettaglio costruttivo che può essere trovato in un Tjotter, così come l'armo velico e le derive laterali semplici da gestire.
Malgrado la semplicità costruttiva i tjotters sono imbarcazioni aggraziate, che si muovono nell'acqua con gentile leggerezza. Tutto ciò grazie ai costruttori navali della Frisia che erano capaci di realizzare barche non solo veloci ed affidabili, ma anche belle da vedere. L'arte della costruzione navale è stata spesso passata di padre in figlio, e la barca era per lo più costruita "ad occhio", cioè senza disegno. Famosa a questo proposito era la frase della Holtrop Van der Zee: quando un cliente irrequieto una settimana dopo aver dato l'incarico chiedeva a che punto erano con la costruzione della sua barca, "'Hij leit er al' zei Van der Zee, guardando la banchina del cantiere. Grazie a questo modo intuitivo di costruire, ogni Tjotter era diverso dall'altro nella forma e nelle caratteristiche di navigazione tanto che in passato si tennero numerosi concorsi per stabilire qual'era il migliore. 
Dalla fine del XIX secolo fino agli anni Trenta del secolo scorso alcuni tjotters sono stati costruiti appositamente per queste competizioni, spesso da dignitari e uomini d'affari. 
(maldestramente tradotto ed interpretato da me medesimo da: onze schepen van hout).

I particolari del Tjotter, foto tratta da Nauticaltrek
Oltre che su Nauticaltrek, grazie all'interessante articolo di Eric, si possono trovare informazioni su questa barca nei seguenti siti:
Terherne Haven


In Bielorussia nasce la Classe Pico

L'immagine simbolo della Classe Pico
Io li avevo chiamati Mini Cruiser ed in altre occasioni, come nel sito Shortypen, Pocket Cruiser Sailboat
In Bielorussia hanno pensato bene di dargli una denominazione che meglio si adatta ad una classe che preceda la cosiddetta "Micro" che ben tutti conosciamo, la nuova Classe Pico.
Credo che il simbolo di tutte queste piccolissime imbarcazioni a vela cabinate sia il Guppy 13, della quale ho parlato nel post "Il caso Ban Iader e la fine dell'Ocean Wave", storia affascinante quanto emblematica, sia nella storia della nautica che dell'arte.

La barca di ÖGUT, il Guppy 13 uguale a quello di Bas Jan Ader, esposto al Vanabbe Museum
Se andate indietro nei post ne troverete parecchi di quelli che si trovano nella FOTOGALLERY della Classe Pico, non sto' a citarli tutti, ricordo solo l'ultimo che è il Pocket Coastal Cruiser 398 di Aurelio attualmente in costruzione presso il Cantiere Riva; il suo progettista, Henseval Yacht Design ha pubblicato le sue caratteristiche.

SCAMP. foto tratta da Small Craft Advisor
Anche se capisco che per voi lettori, che non avete mai fatto parte del famigerato Circolo dell'Inchiostro a China, capire il Bielorusso sia alquanto arduo, nel sito della Classe Pico sono state stabilite alcune regole; interessante trovo la suddivisione per sottoclassi, Cruiser 3, Cruiser 4 e Cruiser 5 con alcune varianti per la Classe 5.
Una delle ultime operazioni del famigerato circolo in quella zona fu effettuata nel lontano 1986 in cui i nostri agenti stesero una relazione che dette impulso al più grande contributo per l'elaborazione del documento base per la pubblicazione dell'IAEA, Cernobyl's Legacy: Healt, Environmental, and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus, The Russian Federation and Ukraine. Dopo di che fummo costretti ad evacuare e a distruggere tutti i documenti, da quel momento tutto il mondo capì all'istante che la guerra fredda era definitivamente finita.

Il Pocketship, un altro stupendo cruiser appartenenete alla Pico Class, dal sito CLC Boats


lunedì 9 settembre 2013


Attività da imitare: il club del turismo attivo tra le Isole di Pietro il Grande

Dal sito Prim-Kat
Il golfo di Pietro il Grande è una vasta insenatura lungo la costa russa nell'estremo oriente, situata nella parte nordoccidentale del mare del Giappone. Prende il nome da Pietro I di Russia, detto Pietro il Grande, che regnò sull'impero russo dal 1682 alla morte nel 1725. L'insenatura ha una larghezza massima, nella parte meridionale, di circa 200 chilometri, mentre l'estensione nord-sud è di circa 80 chilometri. Le coste sono frastagliate e formano sei insenature minori interne al golfo principale: Amurskij, Ussurijskij, Pos'eta, Strelok, Vostok e Amerika. Nella parte centrale del golfo si protende una lunga penisola, alla cui estremità sorge la città di Vladivostok; nel golfo sono presenti alcune isole, le maggiori delle quali sono Popova, Russkij, Rejneke e l'arcipelago Rimskij-Korsakov.  (tratto da Wikipedia)

Le coste dell'isola di Popova, da Ostrovatour
Certo non sono acque facili, da frequentare solo in piena estate, per navigatori esperti, e per gente che non tema quei begli squali dalla bocca enorme e dai denti aguzzi. Però, a parte questo, varrebbe la pena di prendere un bel catamarano gonfiabile in charter da Prim-kat ed organizzarsi un  tour di uno o più giorni, in alternativa ci si può portare il proprio mettendolo in aereo. Il costo di 1000 rubli per notte, poco più di 20 €, sembra quanto meno attraente.

Dal sito Prim-Kat
Quella di Prim-Kat, il Club del Turismo Attivo, potrebbe essere un'ottima attività da imitare lungo le meravigliose coste e negli arcipelaghi del nostra bel paese. Forza giovani che aspettate? Investimento minimo, lavoro piacevole, divertente e redditizio.


L'isola di Petrova è un'isola nella parte settentrionale del Mar del Giappone, al largo della costa di Primorye . Chiamata in onore di Aleksandr Ivanovic Petrov, ufficiale della Marina Militare Russa. La lunghezza dell'isola è di circa un chilometro, su una superficie di circa quaranta ettari . L'isola è situata di fronte ad una grande baia chiamata "il canto della sabbia" a causa della sabbia bianca che produce un fischio distintivo quando ci si cammina sopra. Questi luoghi appartengono alla Riserva del Lazo. Sul lato ovest, di fronte alla spiaggia, l'isola di Petrova è abbastanza delicata . Ma il suo lato orientale è praticamente inespugnabile a causa delle alte scogliere dove, a poche decine di metri di altezza , nidificano in grandi cormorani neri . 
Due scogli si stagliano al largo della costa orientale che, a causa della loro forma, sono chiamati Babbo Natale e Baba. 
Il Distretto della Riserva del Lazo, che comprende l'isola di Petrova , fu messo sotto tutela da parte dello stato per preservare la flora e fauna costiere uniche al mondo e variamente rappresentate. Molte specie di piante sono sopravvissute all'era glaciale e hanno forti proprietà medicinali. Tra loro ci sono la radice della vita, il ginseng, l'eleuterokok, la citronella e l'Aralia. L' albero del tasso, che è stato molto apprezzato da cinesi, egiziani e da altri popoli per le sue proprietà stupefacenti, cresce fino a 3000 anni di età. Troviamo anche il Tis, una pianta velenosa. Oltre ai famosi alberi del tasso sull'isola crescono molte specie endemiche della regione: cedro ( pino coreano ) , uva selvatica e orchidee .


venerdì 6 settembre 2013

16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
16000 miglia con 4.20 $ in tasca - II parte, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Settembre 1939.

In figura 1 
In alto, gli autori con lance, machete, armi e coltelli per la caccia. A sinistra, la loro capanna sulla Cocos Island. Sotto, un cinghiale fornisce cibo e pelle

Eravamo soli. Come vedemmo che la piccola barca della guardia costiera sbuffava rumorosamente allontanandosi verso l'alto mare realizzammo che i sogni d'infanzia e la cruda realtà sono due cose ben diverse, avevamo con noi cibo per solo tre settimane e la barca non sarebbero tornata che fra otto mesi. Questa avventura era cominciata come un viaggio di prova per determinare se eravamo adatti ad una vita da esploratori. Abbiamo pagaiato e navigato con la nostra canoa “ibrida” di 16 piedi fatta in casa giù dalla California, lungo la costa occidentale del Messico e dell'America Centrale, diretti verso Panama. Ci siamo immersi nell'oceano con 70 kg di attrezzature e 4,20 dollari in contanti in tasca. Invece di organizzare una grande spedizione abbiamo deciso di viaggiare da soli, cercare il cibo nella giungla e prendere dall'acqua e dalla terra le necessità della vita, ciò che ci serviva per sopravvivere. 
Abbiamo esplorato, abbiamo trovato l'avventura che cercavamo, raccoglievano e ci è piaciuto. 
Siamo arrivati fino a Puntarenas, in Costa Rica, e lì abbiamo scoperto che eravamo a soli 350 miglia da Cocos, l'isola deserta dei nostri giovani sogni. Forse noi siamo figli della civiltà, ma così ha vissuto Robinson Crusoe. Se lui ha potuto, noi possiamo!
Così la barca della guardia costiera ci ha lasciato nell'isola promettendoci di tornare dopo otto mesi.
Mentre remavamo verso le palme a riva di Wafer Bay ci siamo voltati a guardare il piccolo "Santa Rosa" che diventava sempre di più un granello sull'oceano mentre si dirigeva verso la terraferma. 
In quel momento ci siamo chiesti se avevamo fatto la scelta giusta. Tre settimane di approvvigionamento di cibo, alcuni semi, un magro equipaggiamento da campo, e non un vicino di casa a cui chiedere qualcosa in prestito in un'isola disabitata. 
I due anni di viaggi lungo la costa del Messico e dell'America Centrale ci avevano preparato a tutto questo? 
Avevamo sognato di approdare su questa isola per anni, ed ora non c'era più possibilità di tornare indietro. Il "Santa Rosa" era solo una piccola macchia nell'orizzonte, e come spiaggiammo la canoa nei pressi della foce di un piccolo torrente sulla spiaggia della Wafer Bay cominciammo ad esplorare i dintorni. Dietro la piccola piantagione di noci di cocco a lato del torrente ci trovammo di fronte al peggior spettacolo che avessimo mai visto nel nostro viaggio. Due baracche fatiscenti, forse appartenenti a vecchi cercatori di tesori, erano circondate da mucchi di sporcizia e rifiuti che indicavano chiaramente che chi aveva frequentato questo paradiso prima di noi aveva vissuto una vita poco felice, se non tragica. 
C'era solo una cosa da fare, mettersi al lavoro, una gran quantità di lavoro. 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura2 
Sopra, la realizzazione di un arco indiano a fuoco. A sinistra, attrezzatura da pesca fatta in casa utilizzando cucchiai e attrezzi da cucina. Il grande pesce in figura è un "wahoo," tipico del Pacifico. 

Come se a darci una mano, la pioggia iniziò a scendere a torrenti nel momento in cui iniziammo a lavorare per ripulire la zona. Mentre campeggiavamo sulla sabbia bianca e pulita della spiaggia, abbiamo trascorso lunghe giornate di duro lavoro di rimozione di questa macchia lasciata dall'uomo, e segregato la maggior parte di essa nella profondità del salmastro. Poi ci siamo messi a lavorare sulla nostra capanna, con solo un machete, un coltello da caccia, e un piccolo trapano, utilizzando parte del materiale recuperato dalle vecchie capanne e quanto fornitoci generosamente dal palmeto e la giungla. 
Il nostro rifugio era simile a quelli usati dagli indigeni lungo la costa della terraferma, aveva un tetto molto ripido di paglia per poter defluire il diluvio quotidiano di pioggia. La sera, con la luce del fuoco da campo, abbiamo realizzato gli strumenti per lavorare la terra, una zappa di legno, un rastrello e la pala da utilizzare nel nostro piccolo orto, piantato vicino alla spiaggia. 
Ci era stato detto che nessun orto poteva essere coltivato sulle Cocos e che tutte le verdure crescevano in alto a causa del terreno troppo ricco, ma un po' di esperimenti ci hanno dimostrato che la miscela di terra e sabbia lungo la riva era sufficientemente magra per produrre buoni raccolti di mais, fagioli, chayotes, e simili. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura3 
Ginger accanto alla pittoresca motrice sulla ferrovia del Nicaragua. Al centro, l'equipaggio del "Vagabunda" lungo il Canale di Panama, dopo tre anni di viaggio lungo la costa del Pacifico navigando su di una canoa realizzata in casa. A sinistra, finalmente spiaggiati in sicurezza dopo una tempesta, i viandanti si precipitano a coprire tutto prima che la sabbia faccia danni. 

Per scavare il terreno dell'orto abbiamo utilizzato diversi pezzi di ferro arrugginito che avevamo trovato in zona. Quando la nostra capanna venne completata l'abbiamo trasformata in un vero e proprio laboratorio di artigiani, fabbri, falegnami, tessitori, e di tutto quello di cui c'era bisogno. 
Siamo stati sempre impegnati in ogni minuto della luce del giorno, e spesso anche di notte. Circa la metà del nostro tempo l'abbiamo speso nella raccolta di cibo e materiali. Nell'entroterra abbiamo cacciato i piccoli maiali selvatici che ci hanno fornito carne e pelli di cui avevamo molto bisogno. 
Abbiamo raccolto i lunghi traversi di un vitigno per realizzare le funi di ancoraggio, e legni di vario genere per costruire mobili. 
Quando il tempo lo permetteva, varavamo la canoa e costeggiavamo le rive dell'isola, raccoglievamo le uova degli uccelli, e lungo le spiagge raccoglievamo tutto ciò che ci poteva servire in qualche modo. Il nostro campo presto assunse le proporzioni di una piccola fabbrica. Con dei piccoli ramoscelli avevamo realizzato un aggeggio a forma di imbuto nel quale mettevamo costantemente la cenere del fuoco. L'acqua piovana, che filtrava attraverso le ceneri, successivamente raccolta in un vecchio serbatoio da cinque galloni si sarebbe trasformata in lisciva per la concia delle pelli e la produzione di sapone. Accanto a questo attrezzo c'era un piccolo camino in cui un altro serbatoio da cinque galloni fungeva da bollitore per realizzare l'olio dalla polpa del cocco e dal lardo di maiali. 
Come in una catena di montaggio, accanto a questo c'era un essiccatoio realizzato in fango e ramoscelli per la stagionatura del prosciutto, della pancetta, e del pesce. Avevamo anche una piccola carbonaia, che ci ha fornito il carburante per la nostra fucina, grezza ma efficace, con il suo soffietto realizzato in pelle conciata. 
Infine la tavola da lavoro, costituita da due tronchi di palme tagliate, e un magazzino dove venivano stoccati i prodotti di questa linea di produzione. 
Ci si potrebbe chiedere perché una persona normale dovrebbe andare a vivere in un isola tropicale a lavorare dalla mattina alla sera, ma abbiamo trovato più piacere in tutto ciò che in gioco. 
È vero, abbiamo speso un sacco di tempo ad esplorare, a nuotare, e anche alla ricerca di tesori sepolti ma alla fine eravamo sempre ansiosi di tornare al campo, e di solito con qualcosa in mano che ci aveva suggerito l'idea di realizzare qualcosa di nuovo, magari solo un vaso di fiori o una saliera fatta con un pezzo di bambù oppure con l'eccezionale numero di gusci di noce di cocco una ciotola, un piatto, un mestolo o forse le stesse cose con dell'argilla fine. 
Dopo sei mesi di lavoro e di giorni felici, mi sono svegliato una mattina con un dolore acuto al mio fianco. Appendicite, ho dedotto, e il nostro vicino più prossimo era almeno a 350 chilometri di distanza. 
Mentre ci stavamo chiedendo come effettuare un salvataggio di fortuna, questo è arrivato inaspettatamente da un peschereccio di tonno il cui capitano e l'equipaggio avevano deciso di fermarsi a Cocos per un bagno in acqua dolce. 
Sogniamo di tornare ancora a Cocos Island e fare tutto da capo a meno dell'appendice! E 'solo una piccola isola tropicale, la vegetazione è fitta, rigogliosa, in rapida crescita e molto difficile da tagliare. Le precipitazioni annue sono tantissime. Ma c'è qualcosa in quel posto che ci fa desiderare di tornarci.
Circa due settimane dopo l'incontro con il capitano del peschereccio di tonni siamo ripartiti in canoa lungo la costa di Panama. Il nostro arrivo presso il Canale di Panama ha creato molto scalpore tra i funzionari locali. Era stato segnalato loro l'arrivo di una barca proveniente dagli Stati Uniti, (lunghezza sedici piedi), con tutte le sue carte in buon ordine e che stava per entrare nel loro paese.
Hanno sbrigato tutte le formalità come se fossimo una nave di grandi dimensioni. Tutto ciò fu molto bello, ma quello che accade dopo mise a dura prova l'equipaggio e il capitano del “Vagabunda”.
Avremmo dovuto attraversare il canale nei tempi previsti che, essendo lungo circa 49 miglia, richiedeva un tempo massimo fra le otto e le nove ore, invece ci mettemmo sei giorni. 
A Miraflores, Pedro Miguel, Darien, e in altri luoghi lungo il percorso, siamo stati ricevuti da comitati di accoglienza e invitati a partecipare all'ospitalità tipica di Panama. 
Alla fine abbiamo raggiunto Cristobal, il versante atlantico del Canale di Panama, e abbiamo ufficialmente concluso la nostra avventura, tre anni di avventure, un viaggio di prova per i nuovi esploratori. 
Ora siamo alacremente impegnati nell'organizzare il nostro prossimo viaggio, che si svolgerà nel cuore inesplorato della giungla Maya, tra il Messico e il Guatemala. 


giovedì 5 settembre 2013

Il suo lago è un velo argenteo

Dalla nostra FOTOGALLERY di oggi
Niente di più appropriato se non citare la frase più famosa, per noi, di Lord Byron su Childe Harold's Pilgrimage riferendosi al Trasimeno. Null'altro da aggiungere se non che è stato bellissimo, anche il solo correre dietro ai refoli di un venticello debole.


Per concludere graditissima sorpresa, al club velico locale è arrivato un VIKO S 22 a cui ho fatto qualche foto. 





Insomma, bellissimo, nella FOTOGALLERY c'è qualche altra foto assieme a me che mi diverto nel mio meraviglioso lago.



16000 miglia con 4.20 $ in tasca

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine

16000 miglia con 4.20 $ in tasca, di Dana e Ginger Lamb, liberamente tradotto ed interpretato da me medesimo da Popular Mechanics Magazine, Agosto 1939.

In figura 1 
Il tragitto di "Vagabunda" e gli autori che campeggiano per la notte. Nell'immagine sotto , l'autore con in mano i pesci catturati sulla costa tropicale del Messico. 

 Il tutto è cominciato con un sogno. Fin da piccoli Ginger e io avevamo voluto diventare esploratori, ma le difficoltà nell'organizzarsi ci avevano sempre fermato. Non c'erano libri su "come diventare un esploratore".  Abvevamo letto i racconti di molte spedizioni, ma nessuno ci spiegava come avevano fatto, per non parlare dei costi, dell'equipaggiamento necessario, la fatica per trasportarlo, le spiacevole differenze derivanti tra i membri delle spedizioni, e le difficoltà con i portatori e le guide locali. Sembrava tutto molto scoraggiante. 
Come sarebbe stato bello se fosse stato possibile andare ad esplorare senza dover perdere tempo con attrezzature ingombranti, disposizioni per guide indigene, e tutti gli altri impedimenti ad un vagabondaggio spensierato, per conoscere le regioni inesplorate del mondo . 


Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
 In figura 2 
Portatori con un carro di buoi durante il percorso a terra. Sotto, realizzazione di una mazza da golf in legno duro, e poi il nostro Golf Club sulla Cocos Island. La borsa è stata tessuta in fibra di palma. 

Poi abbiamo avuto un'idea su come fare. Rifornirsi di cibo, vestiti e riparo nei luoghi a margine del percorso non era altro che un problema di organizzazione. Fin dalla notte dei tempi i popoli della terra hanno fatto così, gli eskimesi, gli africani, gli abitanti delle isole dei Mari del Sud. La loro società, organizzata in modo semplice, gli aveva permesso di procurarsi ciò di cui avevano bisogno con quello che avevano a portata di mano. Perché non potevamo farlo anche noi? Almeno, valeva la pena di provare. 
Come banco di prova abbiamo scelto la costa occidentale del Messico e del Centro America perché le sue migliaia di miglia di giungle, coste e fiumi contengono molte aree inesplorate. 
Questo è stato l'inizio di un viaggio durato tre anni in una canoa di soli sedici piedi. Non abbiamo scelto la canoa per sfizio ma perché era il mezzo più pratico per viaggiare. In due avremmo potuto gestire anche una barca un po' più grande ma non avremmo potuto esplorare le baie poco profonde, i fiumi e l'entroterra. Tutto ciò sarebbe stato impraticabile con una barca più grande, così ci siamo organizzati per costruire ciò che sarebbe servito per i nostri scopi. 
Eravamo al nostro primo tentativo di costruzione di barche. Subito ci siamo resi conto che non avremmo potuto realizzare tutto da soli, l'albero, lo specchio di poppa, piegare i legni e fissare i rivestimenti e coprire il tutto con la tela, ci voleva uno del mestiere a cui chiedere consigli. 
La nostra barca doveva essere capace di solcare le onde, doveva andare a remi ma anche a vela, doveva essere sufficientemente forte da superare le tempeste e capace di portare noi e i nostri bagagli, doveva essere agile, vivace, leggera negli spostamenti ed infine facile da portare a remi. 
Stavamo veramente chiedendo troppo alla nostra nuova barca, così abbiamo deciso di rivolgersi ad un costruttore di barche, “voi potete costruire una barca a vela” ci disse, “oppure potete costruire un surf”, “voi potete costruire una canoa, un kayak o un dory”, “ma voi volete una combinazione di tutte queste cose e, come un animale, questo non può essere realizzato!”. 
Così siamo andati fuori nel cortile sul retro con un tubo e un paio di pale e in poco tempo abbiamo realizzato uno “stampo” in fango. In questo modo abbiamo iniziato a definire la forma “della barca che non poteva essere costruita”. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 3 
La "Vagabunda" pronta per essere rivestita in compensato. Il legno di noce e mogano è stato fissato con 7.000 viti in ottone. Al centro, accendere il fuoco come gli uomini preistorici. In fondo, a vela verso un villaggio messicano. 

Una volta completato lo stampo di fango, fino a che le linee aggraziate della barca non hanno mostrato le qualità di tutto ciò che avrebbe dovuto rappresentare, abbiamo affrontato il nostro primo problema: avevamo ottenuto le dimensioni esterne, come potevamo conoscere le dimensioni interne? Alla fine abbiamo avuto una brillante idea, abbiamo acquistato diverse scatole di fiammiferi, abbiamo accorciato i fiammiferi fino ad ottenere le dimensioni pari allo spessore delle costole, inclusi i raccordi e la tela, poi li abbiamo spinti nello stampo di fango. Successivamente abbiamo rasato il fango fino alla base dei fiammiferi, così abbiamo ottenuto le dimensioni interne della barca. 
Abbiamo cominciato tagliando le costole, dando forma alla deriva, alla poppa e alla chiglia piegando e fissando il legno con un forno realizzato con un bruciatore e un vecchio serbatoio vuoto di gasolio che fungevano da caldaia a vapore. Dopo diversi mesi in cui abbiamo affrontato una enorme quantità di problemi di costruzione abbiamo completato lo scafo impiegando più di 7000 viti in ottone e sprecando più del doppio del materiale necessario. Il ponte è stato rivestito con compensato aeronautico lasciando a nostra disposizione un ampio pozzetto protetto dall'acqua per due.   Abbiamo dotato la canoa di un “armo Marconi” con una superficie velica di circa 10 metri quadri, remi, un mezzo marinaio e un arpione, infine abbiamo cominciato con le attrezzature necessarie per il viaggio.  Il lavoro più impegnativo è stato quello di stabilire quali attrezzature portarsi dietro considerando il limite dei 70 kg che avevamo stabilito. 
A questo punto eravamo pronti per iniziare il viaggio, ma non del tutto. L'80% delle probabilità di successo di una qualsiasi spedizione dipende dalla preparazione. Per questo motivo abbiamo trascorso più di un anno lungo la costa della California facendo esperienza con la canoa soprattutto con mare agitato e tempesta, navigando o approdando in situazioni sfavorevoli con onde alte. Abbiamo nuotato, ci siamo allenati con la bici, e vissuto all'aria aperta arrangiandoci con il cibo in modo da prepararsi a tutte le situazioni possibili. 
Poi, un giorno di ottobre siamo salpati da San Diego, in California, senza aver dato pubblicità all'evento, con 4.20 dollari in tasca, salutati con affetto da parenti e amici e le osservazioni non troppo gentili degli scettici. Anche noi eravamo abbastanza scettici, ma non volevamo ammetterlo. Ciò che ci ha dato il coraggio di lasciare il porto è stata la grande preparazione che avevamo effettuato. 
Però questa non ci aveva preparato a dover procurarsi il pesce tre volte al giorno, dieta obbligatoria lungo le coste aride della bassa California. Un'altra preoccupazione ci è venuta dal fatto che la presenza di sorgenti d'acqua segnalate nelle carte geografiche si è rivelata inesistente. Alla prima sorgente asciutta abbiamo capito come avremmo potuto rifornirci d'acqua e sopravvivere. Setacciammo una spiaggia e raccolto contenitori di latta, tubi, rame da un relitto e altri pezzi di varia utilità, questi sarebbero serviti a realizzare l'attrezzatura per distillare l'acqua di mare quando le sorgenti erano asciutte. 

Dall'articolo tratto da Popular Mechanics Magazine
In figura 4 
In alto, l'attrezzatura per distillare l'acqua e poi "cercatori d'oro" Sotto, spintoni tra i frangenti. 

Il nostro aggeggio, una volta terminato, era composto da due latte arrugginite da 20 litri, interconnesse da un tubo, la prima latta serviva da caldaia per far bollire l'acqua di mare, il tubo di raffreddamento serviva a portare l'acqua dissalata nella seconda latta. Eravamo euforici dopo aver scoperto che il nostro aggeggio “salvavita” riusciva a produrre circa un litro d'acqua fresca all'ora.
Veleggiammo e remammo lungo costa durante il giorno e campeggiando e procurandoci del cibo in spiaggia alla sera, così, piacevolmente, lungo la costa della Bassa California fino al Golfo della California, la Tiburon Island e poi giù lungo la costa occidentale del Messico. 
Ogni giorno abbiamo imparato qualcosa di nuovo risolvendo problemi e iniziando nuove avventure.
Un giorno, mentre eravamo accampati nella spiaggia di Sihuatanejo , abbiamo deciso di esplorare le “pinnacle islands” , le Islas Blancas , a poca distanza dalla riva. Pagaiando lungo il fronte mare della più grande del gruppo abbiamo visto una grande grotta marina . Sembrava una buona idea entrare remando e la curiosità ci ha intrigato finché non ci siamo trovati nella più totale oscurità. Abbiamo illuminato la grotta con la nostra torcia di emergenza, uno straccio avvolto attorno a un bastone imbevuto di olio, e abbiamo continuato. Velocemente il tetto della grotta si è abbassato quasi fino alla superficie dell'acqua. A quanto pare però la grotta sembrava continuare oltre. 
Contrariamente a quanto la nostra migliore prudenza ci avrebbe dovuto consigliare decidemmo di proseguire oltre sfruttando la sinuosità delle onde provenienti dal mare aperto e ci trovammo in una grande caverna. Le pareti nere riflettevano la luce della nostra torcia, le onde gorgogliavano nel silenzio fino a che un bianco bagliore spettrale ci si presentò davanti, assieme alla fine della grotta, che si rivelò essere una spiaggia dalla sabbia liscia. 
Siamo approdati con un pensiero, “questo sarebbe il luogo ideale dove nascondere un tesoro!”. Ma dopo aver cercato un po' tra i massi abbiamo deciso di ritornare alla canoa poiché il petrolio della nostra torcia cominciava a scarseggiare, a quel punto ci siamo resi conto che questa non era più al suo posto. 
Mentre Ginger teneva la torcia e io mi sono tuffato nell'acqua scura e ho recuperato la canoa. Come abbiamo trascinato la canoa fin sopra la piccola spiaggia ci siamo resi conto che l'acqua era salita fino alle nostre caviglie e aveva cancellato le nostre impronte. Ci siamo subito resi conto che la marea stava salendo e che il passaggio verso la luce del giorno era sempre più piccolo. Una volta raggiunto il punto del passaggio le nostre paure si sono improvvisamente materializzate, la marea era salita fino al tetto, bloccando la nostra uscita. Era impossibile rimanere all'interno della grotta fino alla prossima bassa marea perché probabilmente saremmo annegati come topi, dovevamo prendere una decisione in fretta. 
Avremmo potuto nuotare sott'acqua, ma questo significava lasciare la nostra piccola imbarcazione, che ci aveva fatto attraversare tante tempeste, a se stessa. Abbiamo quindi deciso di decomprimere il pozzetto, buttato il nostro peso sulla falchetta, e lasciato riempire la barca d'acqua. Mentre la canoa è affondata fino al livello della superficie dell'acqua abbiamo preso la cima, fatto respiri profondi, e nuotato sotto la barriera. Una volta emersi dall'altra parte, abbiamo trascinato la nostra canoa piena d'acqua fino alla luce del sole. 
Ginger e aveva sempre sognato di andare alle Cocos, a Puntarenas in Costa Rica. Avevamo ricevuto il permesso per andare alle Cocos Island, che si trovano a 350 miglia al largo della costa. Le autorità però non vollero ascoltare la nostra volontà di tentare la traversata in canoa, così ci hanno portato fino a questo paradiso solitario sulla barca della guardia costiera, fino a "Santa Rosa". 
Ci promisero che sarebbero tornati a prenderci dopo otto mesi e poi se ne sono andati. Abbiamo remato verso la spiaggia di palme di Wafer Bay con sufficiente cibo per tre settimane. 
Come avremmo potuto sopravvivere in questi otto mesi su un'isola tropicale deserta? Nella seconda parte della nostra storia, che verrà pubblicata il mese prossimo, vi racconteremo della nostra vita di Robinson Crusoe sulleCocos Island.

..... speriamo di ritrovarlo!


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