sabato 5 febbraio 2011

Cronaca di una scuffia

Triste immagine trovata in rete che nessun velista vorrebbe mai vedere
Premessa 
La storia che vi sto per raccontare tratta di una scuffia avvenuta su di un piccolo cabinato a vela in un paese lontano. Non riporto volutamente i riferimenti all’articolo perché la mia traduzione ed interpretazione potrebbe aver travisato i fatti. Tengo a precisare, come premessa, che l’incidente è stato causato da errore umano e  dall'inesperienza, così come dichiarato dagli stessi autori, ed è anche per questo motivo che mi sembra inopportuno citare i dati relativi alle persone, alla barca, e ai luoghi.

La cronaca
La consapevolezza che l’incidente è stato causato di un errore umano ha fatto si che non rivendessimo subito la nostra nuova barca e ci siamo decisi a pubblicare questo articolo perché sia da monito ed insegnamento ad altri che, fiduciosi come noi, si apprestano a praticare la passione della vela. Questo straziante incidente è stata un’esperienza terribile e ci ha provocato incubi e sofferenze per settimane a causa del timore di cosa sarebbe potuto succedere.

Penso che sia abbastanza comune il fatto che molti proprietari di un piccolo cabinato siano alle prime armi, cabinato che, per l’appunto, ci era stato regalato da mia madre. Avevamo sempre desiderato una barca tutta nostra ma eravamo assolutamente alle prime armi. Per questo motivo prendemmo un istruttore per insegnarci i primi rudimenti della vela, su come alare e varare la barca e su come condurla. Fu un’esperienza molto utile, presi molti appunti, imparammo molte cose e predisponemmo delle check list sulle cose da fare. Quel primo giorno di navigazione non ci fu molto vento, ma era caldo e la nostra prima esperienza di vela fu molto soddisfacente.

Pensammo subito che il week-end successivo avremmo potuto condividere la nostra gioia con i nostri due figli e il nostro piccolo nipote, ed è quello che facemmo. Scegliemmo un lago abbastanza vicino che era famoso per la possibilità di veleggiare sempre anche se, a causa delle montagne scoscese sull’acqua poteva diventare impegnativo a causa di raffiche improvvise, ma lo scenario era mozzafiato e confidavamo nell’entusiasmo dell’equipaggio.

La mattinata la passammo tra bagni e smotorate a causa del vento scarso ed incostante finché non raggiungemmo una piccola e splendida spiaggetta. Fummo compiaciuti e rimanemmo estasiati dal fatto che, potendo tirare su la deriva mobile, avevamo potuto raggiungere la riva senza difficoltà così mangiammo, giocammo, raccogliemmo sassi e ci divertimmo passando una pacifica, pigra, idilliaca giornata di mezza estate.

Verso le due e mezza la termica cominciò a farsi sentire e ci accorgemmo che il vento si stava alzando, finalmente era arrivato il tempo di andare con le vele. Raccogliemmo velocemente le nostre cose e salimmo in barca, che era già posizionata con la prua al vento. Mio marito andò a prua, mia figlia salì sul ponte per tirare su la randa, io ed il mio nipotino rimanemmo nel pozzetto tenendo ben saldo il timone. L’altro mio figlio, visto che era una giornata particolarmente calda, decise di farsi trascinare da una cima rimanendo in acqua indossando un salvagente. Ci eravamo accordati che quando si sarebbe stancato ci avrebbe fatto un segno e saremmo tornati indietro a riprenderlo, fiduciosi che il nostro nuovissimo motore da 5Cv ci avrebbe assistito nell’operazione.

In quei momenti concitati però ci dimenticammo di tirare giù la deriva. Mia figlia aveva già fissato la drizza della randa dopo averla tirata su e mio marito si apprestava a sistemare il fiocco. In una manciata di secondi la vela prese vento e la barca cominciò a sbandare, "Wow, questo si che è navigare!". Ma dopo pochissimi secondi mi resi conto che la barca stava inclinandosi troppo senza dare segni di volersi fermare. Non vidi cadere in acqua mio marito a causa della sua posizione a prua ma ricordo come mia figlia cadde in acqua aggrappata all’albero. Non dimenticherò mai il suo sguardo sgomento, tra sorpresa e orrore. Afferrai prontamente il braccio del mio nipotino che aveva il salvagente e ci sentimmo trascinati in acqua assieme alla barca che decisi di abbandonare subito per evitare di rimanere sotto poiché si stava rovesciando completamente.

Mia figlia dopo la caduta era riemersa urlando, mio figlio ci stava raggiungendo freneticamente a nuoto e dopo aver passato un attimo di puro panico al pensiero di non vedere immediatamente il mio nipotino constatammo che stavamo tutti bene, nessuno si era ferito e nonostante lo shock e la paura ci consolammo del fatto che eravamo tutti salvi, anche se terrorizzati. La barca galleggiava, perfettamente rovesciata sui settanta metri di profondità del lago. Mio marito era rimasto senza occhiali ed essendo molto miope gli facemmo segno di raggiungerci.

Ripresoci dal primo shock cominciammo subito a chiedere soccorso urlando e muovendo le braccia. Per fortuna il lago era affollato e molti si precipitarono in nostro soccorso. Mia figlia, dopo una scenata isterica di pianto si calmò ed il mio nipotino saltò su di una barca felice di mangiare un biscotto. Io sono rimasta in acqua a raccogliere tutti gli oggetti che galleggiavano.

Nei novanta minuti che la nostra barca trascorse a “testa in giù”, assieme ai soccorritori cominciammo con il liberarla dalle vele allentando per prima cosa le drizze. Poi gli uomini più robusti si appoggiarono allo scafo per tentare di rovesciarla ma anche con l’aiuto della forza di un motoscafo legato ad una cima l’operazione fu abbastanza complessa a causa della deriva che era completamente rientrata. Alla fine con pazienza ed attenzione la gente che ci aiutava riuscii a raddrizzare la barca ed io, visto che il tambucio era rimasto aperto, mi immaginai che gran parte del materiale contenuto in cabina era già depositato sul fondo al lago. Sorprendentemente questo non accadde e, oltre agli occhiali di mio marito, perdemmo solo qualche oggetto di poca utilità. Anche la barca non subì praticamente alcun danno, né allo scafo, né all’albero, né alle vele, solamente la batteria e alcuni apparecchi elettrici andarono perduti, ma roba di poco conto.

Fortunatamente il lago era abbastanza calmo ma ci volle comunque uno sforzo monumentale per trainare la barca fino alla rampa di alaggio poiché la barca era completamente piena d’acqua, al limite dell’affondamento.

Le formalità da espletare nell’ufficio dello sceriffo locale furono estenuanti anche perché dovettero verificare se l’incidente era stato causato da abuso dell’alcool, purtroppo sappiamo che fu solo imperizia. Furono i primi soccorritori che ci hanno veramente salvato fornendoci suggerimenti ed aiuto per raddrizzare la barca, tutto il resto furono solo pure formalità.

Ma il nostro calvario non era finito. Una volta raggiunta la rampa ci investì un violento temporale, immaginatevi se tutto ciò fosse successo mentre eravamo a mollo. L’acqua sommerse ancora di pù la  barca mentre tentavamo di tenerla a galla svuotandola dagli oggetti infradiciati e dall’acqua. Molte persone generose e decine di mani ci aiutarono, comparvero delle pompe ed alla fine, alle nove di sera, la barca era di nuovo sul suo rimorchio. La mattina dopo portammo subito la barca in un cantiere della zona per farla revisionare completamente. I danni furono limitatissimi, il motore, le vele, le sartie, le cime, la cuscineria, fu tutto recuperato. I cuscini li portai subito a casa e provvedemmo a lavarli con bicarbonato di sodio per smacchiarli dagli acidi fuoriusciti dalla batteria, successivamente pulimmo anche la barca con lo stesso prodotto e sostituimmo la moquette. 

Considerato l’accaduto decidemmo subito di prendere altre lezioni di vela fino al raggiungimento della patente nautica. Non ci dimenticheremo mai più di mettere giù la deriva, anche se ho pensato di mettere un cartello vicino al timone con scritto: “non mettere giù la deriva è una cosa stupida!”, e tutte le volte che ci penso mi ritornano alla mente il volto atterrito di mia figlia e il mio piccolo nipote che mi si era aggrappato addosso. Ci siamo resi ampiamente conto di quanto siamo stati incoscienti e di quanto abbiamo sbagliato senza attribuire nessuna colpa alla barca tanto che abbiamo deciso di tenerla e di continuare a navigarci. A volte rimaniamo perplessi quando leggiamo di persone che alzano la deriva per andare più veloci senza pensare che potrebbe accadergli ciò che è successo a noi, basta una manovra sbagliata o un “giro” improvviso della direzione del vento.

Qualche tempo dopo decidemmo di spostare la barca al mare ed ancora oggi continuiamo a fare esperienze di vela anche in barche più grandi. Ora abbiamo un grande rispetto su ciò cosa è la conduzione di una barca e sulla responsabilità di proteggere il suo prezioso carico. Siamo consapevoli che ogni volta che usciamo con la barca a vela impariamo sempre qualcosa di più e che non smetteremo mai di apprendere qualcosa di nuovo. 

Al nostro piccolo nipote non è stato più permesso di andare in barca a vela per diversi anni e non ne posso certamente fare una colpa ai suoi genitori. Stiamo imparando a gestire la nostra piccola barca in tutte le condizioni meteo marine e forse in futuro prenderemo una barca più grande anche se pensiamo sempre che quella che abbiamo è una barca fantastica, robusta e divertente. I dipendenti del cantiere che hanno ricontrollato la nostra barca dopo l’incidente ci hanno detto che ci ammiravano per la forza di volontà che abbiamo avuto nel “rimettersi in sella” dopo la caduta ma noi non abbiamo avuto nessun dubbio: il problema è dipeso dalla nostra superficialità e non dalla qualità dalla barca.

L’incidente potrebbe aver avuto un esito molto peggiore, se non più tragico, se l’acqua fosse stata più fredda o se fossimo stati isolati o se ci fossero state onde. E se il mio piccolo nipote fosse rimasto in cabina chi avrebbe potuto salvarlo? Abbiamo imparato una lezione importante: la fretta di divertirsi e l’eccesso di fiducia in se stessi avrebbero potuto essere fatali. Ora navighiamo sempre dopo aver predisposto una lista di controllo, non rimorchiamo più nessuno che si attacchi ad una cima, non partiamo mai senza aver prima nominato un “comandante” che da gli ordini e che si prenda le proprie responsabilità ed infine indossiamo sempre un giubbotto che garantisca almeno il galleggiamento.

L’esperienza rende forti, diceva sempre mio nonno.

La pubblicazione di questo racconto è imbarazzante e sicuramente qualche velista della vecchia guardia ne rimarrà sconcertato asserendo che a lui non sarebbe mai successo ma io credo che condividere questa esperienza sia utile a tutti coloro che si apprestano ad andare in mare con poca pratica. E’ sempre meglio evitare questo tipo di errori. Mio nipote, ancora dopo molti anni, benché a quei tempi ne avesse avuti solo poco più di due, alla domanda se si ricorda che cosa fosse successo quella volta al lago risponde: “Si, il nonno è caduto dalla barca e io ho fatto il bagno!”. Effettivamente lo ha sicuramente fatto.

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