Sono diversi i post in cui ho riportato le avventure di coraggiosi navigatori che hanno effettuato imprese memorabili, anche di recente. Per esempio quando vi ho parlato del periplo della nostra penisola fatto con un piccolo gommone a vela, oppure delle traversate transoceaniche effettuate con canoe a vela smontabili come quelle di cui parleremo oggi, navigazioni andate più o meno bene. Altre invece sono finite in tragedia come nel caso della scomparsa dell'artista Bas Ian Ader nel suo "Ocean wave", ma solo per fare alcuni esempi perché i miei lettori più assidui forse le conoscono tutte queste storie.
Avventurarsi nelle sconfinate immensità di mari e oceani con poco più che "gusci di noce" e sperare di uscirne indenni da eroi è, secondo me, solo una questione di fortuna.
In questo post si parlerà del tentativo di attraversamento del Canale di Corsica con un piccolissimo trimarano a vela smontabile della Klepper, tentativo finito in tragedia, e io so bene quanto questo mare possa essere pericoloso: un mio lontanissimo antenato procidano, Michele Arcangelo Guarracino, intorno al 1819, con una barca ben più grande, una tartana, vi scomparse assieme a tutto il resto dell'equipaggio nel corso di una tempesta.
L'ispirazione per la scrittura di questo articolo l'ho trovata nel blog intitolato
dossierduepuntouno, ma io ho preferito tradurre integralmente l'articolo originale che parla della storia, tratto dall'
archivio criminocorpus.
Con la mia esperienza nel Famigerato Circolo dell'Inchiostro a China ho acquisito una discreta conoscenza della lingua francese, in particolare nell'estete del lontano 1982 quando venni inviato ad indagare sulle infiltrazioni della mafia cinese nei Casinò. La banda venne sgominata nel Casinò di Beaulieu sur Mer, dove entrai fingendomi un giocatore come un altro. Mi ricordo che avevo una stella filante che mi cingeva la testa per farmi riconoscere da uno dei croupier che avevamo introdotto nel Casinò e quando cominciai a vincere sconsideratamente i cinesi si innervosirono e vennero smascherati facendosi mettere nel sacco come coglioni. C'è chi sospetta che l'attuale pandemia di Coronavirus sia stata introdotta in occidente dai cinesi per vendicarsi di quella storia, credo sia verosimile.
Coloro che mi ospitarono nel corso di quella breve operazione non ha mai saputo chi ero né quale fosse il vero scopo della mia presenza lì.
Bando alle ciance, passiamo ai nostri sventurati eroi.
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La barca di cui si parla in questo post è più o meno questa, ma aveva anche gli stabilizzatori laterali, un piccolo motore e le vele di colore rosso. Immagine tratta dal sito faltbootbastlen |
Dal nostro inviato speciale a La Spezia.
Era di domenica sera, il 17 agosto 1931 per l'esattezza, quando una cabrio nera, targata 7987 RE, proveniente da Parigi, parcheggiò davanti all'hotel "Riva Bella", a Cap Martin, tra Mentone e Montecarlo. Dall'auto scesero un giovane atletico con una donna che sembrava un po' stanca.
"Il capo mi conosce", disse l'uomo al portiere notturno. “siamo venuti l'anno scorso ... eravamo nella camera 22”.
La camera 22 era libera e gli venne nuovamente concessa, registrandosi come il Signor Alain Sabouraud, 26 anni, proveniente da Parigi e diretto in Corsica, accompagnato dalla signora Sabouraud, 28 anni.
“Il signore e la signora Sahouraud? Ma certo” commentò la mattina dopo il titolare del Riva Bella “sono clienti! Persone molto simpatiche!”
Ricordava quel ragazzo alto, senza barba, ben piazzato con gli zigomi di un pugile e una giovane donna bionda con lo sguardo penetrante, non molto bella, ma elegante e discreta.
Li vedemmo di prima mattina, lei con un pigiama rosso; lui, vestito con pantaloni di tela e camicia spigata, scendere verso il mare, il mare vellutato di Cap Martin, su cui i grandi ombrelli dei pini e gli ulivi affacciavano le loro teste spettinate.
A pranzo. Alain Sabouraud ci chiese se potevamo inviare il suo bagaglio in Corsica.
La sera, mentre l'Ile de Beauté metteva in mostra tutto il suo splendore, fluttuando nella calda giornata di sole come in un miraggio, l'uomo ricordava al titolare dell'Hotel: “L'anno scorso siamo andati in canoa a Sanremo. Quest'anno faremo di meglio!”
Il Martedì mattina si svegliarono alle 4 e 30 per andare a pesca e a mezzogiorno, senza aver pranzato, Sabouraud pagò il conto.
All'improvviso gli era venuta fretta.
Sul retro della decappottabile, il fattorino che portava i bagagli in macchina notò un involucro piuttosto grande.
Era una canoa di tela gommata smontabile che Sabouraud avrebbe portato a Monaco.
Nel pomeriggio, il pescatore Adolphe
Verna, che verniciava una barca sulla banchina arsa dal sole del porto di Monaco, ricevette una visita curiosa: “Mi riconosci?”, chiese Alain Sabouraud. “Mi hai affittato una canoa l'anno scorso”. Verna si asciugò le mani. poi si alzò. Aveva la testa di un contadino delle Landes con le guance scavate, il mento pronunciato e gli occhi azzurri e candidi. Era un maestro d'ascia ed era così bravo, almeno così dicevano quelli che lo conoscevano, che avrebbe fatto galleggiare anche un blocco di pietra. “Vedo tante persone”, rispose.
Due ore dopo, Verna, andò a controllare le sue reti e Sabouraud e la sua compagna andarono con lui.
Dopo aver lasciato lasciato il porto Sabouraud, annunciò al pescatore: “Domani parto con mia moglie per la Corsica, a bordo di una canoa. Se riusciremo nell'impresa faremo un gran baccano”. “Non è sicuro”. Gli rispose Varna, “ci sono delle correnti molto forti che potrebbero portare alla deriva un natante così leggero”. Ma Sabouraud si strinse nelle spalle: “Siamo allenati, non si preoccupi!” ...
Senza dubbio pensava a quelle grigie domeniche dove, attraverso i canali del Nord e dell'Ile de France, la sua canoa scivolava con la grazia di un cigno, tagliando un'acqua argentea e assonnata, sulla quale, in autunno, galleggiano foglie morte.
Ritornarono a Monaco e Alain fissò un appuntamento con Verna per l'indomani mattina alle cinque.
Poiché il marinaio aveva lasciato la chiave sulla porta del garage della sua barca, Alain e la sua compagna ebbero tutto il tempo per dotare la loro canoa di provviste e attrezzature di bordo.
Fu da questo momento che la ruota del destino iniziò a girare più velocemente.
Sabouraud andò alla stazione di polizia del porto per ottenere un permesso di navigazione con la sua canoa.
“Ah! sei tu, Sabouraud”, gli disse il segretario del Signor Lôtelier, il comandante del porto. “Ho sentito in giro che vuoi tentare la traversata del canale di Corsica a bordo di un guscio di noce. Non può essere vero, giusto? In ogni caso, non contare su di me per facilitarti questa impresa ...” Sabouraud sorrise, poi insistette.
Si profuse in elogi sulla sicurezza della sua barca nonostante l'apparenza fragile nonché a decantare le sue qualità di navigatore, la sua serietà e la sua tenacia. In verità voleva ottenere una prova documentaria ufficiale che comprovasse l'ora della sua partenza in vista del suo futuro successo sportivo.
Ma, nonostante il colloquio fosse durato a lungo e avesse talvolta assunto toni vivaci, durante il quale Alain si rivelò un abile e appassionato difensore della propria causa, il funzionario non si lasciò intenerire.
Accettò a malapena di inserire un visto di uscita nel taccuino di Sabouraud, annotando che i due navigatori stavano per lasciare il porto.
Questa battuta d'arresto non rallentò le intenzioni del giovane neanche per un attimo.
La sera provò nuovamente la sua canoa facendo il giro del Mariette Pasha, una nave ancorata di fronte al Casino d'Eté di Monte Carlo che era diventato il palazzo più in vista della Costa Azzurra.
Il Mercoledì. il sole si era levato senza apoteosi. A ovest si stavano formando raffiche di vento. Tuttavia, lungo la costa, il mare era ancora bellissimo. Sulla banchina deserta del porto di Monaco, il pescatore Verna aveva provato, un'ultima volta, a far rinunciare Sabouraud al suo progetto. Ma lui è rimasto sordo a tutti i suoi consigli, egli aveva fiducia nella sua esperienza, nelle sue muse, nella sua stella. “Bah!" disse Verna, "non potrete rientrare ...”
Imbarcarono. venti litri di acqua potabile. cibo in scatola, frutta, strumenti di bordo, in quantità sufficiente per resistere per quattro o cinque giorni.
La giovane donna che indossava le scarpe con le suole in gomma scivolò mentre cercava di montare sulla canoa e si graffiò leggermente il mento.
Verna notò anche che aveva una piccola cicatrice sulla guancia a causa di un incidente automobilistico avvenuto diversi anni prima.
Senza essere minimamente preoccupata, la compagna di Sabouraud, allegra e spensierata, chiese anch'essa l'opinione del marinaio: “Che ne pensi? chiese al pescatore? "Che vi dovrete rifugiare nella baia de Garavan", gli rispose.
Terminati i preparativi, i due emulatori di Alain Gerbault si sistemarono nella canoa.
Lei davanti, lui dietro, con a portata di mano
mano il timone e il joystick di un piccolo motore laterale. Verne li trainò con la sua barca a motore e quando raggiunsero Pointe-Vieille, si alzò una leggera brezza che fece arricciare l'onda. “Lasciaci!” gridò Sabouraud. Verne, un po' commosso, osservava gelido la barca che si allontanava in mare aperto, con i due fragili alberi dove le vele rosse non erano ancora state issate.
Passarono tre giorni ...
Un amico di Alain Sabouraud, il signor Fermé, che era stato avvertito con un telegramma dallo stesso Alain della partenza via mare dei giovani per la Corsica, cominciando a temere un incidente, allertò il Ministero dell'Aeronautica e della Marina al fine di avvisare gli idrovolanti che operavano nella zona di partecipare alla ricerca della canoa.
A Parigi, nel comunicare i suoi progetti alla famiglia, Sabouraud aveva specificato che la sua intenzione era quella di arrivare fino a Nizza, fare la traversata Nizza-Calvi su un traghetto della Compagnia Freyssinet, scaricare la sua canoa a Calvi, per poi navigare lungo la costa corsa.
Il fratello di Alain, il signor Jacques Sahouraud, domenica mattina, ricevette una telefonata dal signor Fermé, che lo aveva avvisato, contrariamente a ciò che credeva la sua famiglia, che Alain aveva rischiato pericolosamente la traversata da Montecarlo alla Corsica con l'ausilio della sua sola canoa.
Il signor Jacques Sabouraud non esitò un minuto. Prese il treno per Nizza da dove si diresse verso Monaco e poi a Genova, dove richiese un'indagine alla polizia italiana e francese. Purtroppo già da prima che la sinistra scoperta a Marina di Carrara venisse annunciata a La Spezia, la famiglia di Alain Sabouraud aveva cominciato a temere il peggio.
Solo il Martedì 25 i quotidiani della Riviera cominciarono a riportare informazioni sulla scomparsa della canoa e dei suoi due occupanti: Alain Sebouraud e la sua sconosciuta compagna dal pigiama rosso.
Nel frattempo Jacques Sabouraud venne avvertito dal Console di Genova della disgrazia che lo aveva colpito; contemporaneamente, il telegrafo italiano dette la notizia: il peschereccio La Vigilante che si trovava in mare, a cinque miglia al largo di Marina di Carrara, aveva avvistato un relitto rosso, scambiandolo a prima vista con una boa. Una volta avvicinatosi, notarono che si trattava di una piccola imbarcazione trascinata da quella corrente che, provenendo dal mare aperto, e passando davanti a Montecarlo, restituiva spesso relitti e cadaveri. Fu lì che furono ritrovati i corpi degli aviatori della Città di Roma e il corpo di Cecconi.
Nella barca c'era un cadavere di donna, vestita solo con una sorta di camicetta da marinaio. La testa era infilata sotto la poppa. La gamba sinistra era semiaperta nel fondo e la gamba destra era appesa fuori dalla canoa. Un incredibile groviglio di funi avvolgeva il suo corpo.
Ne seguì una corrispondenza straziante tra i giornali francesi e italiani, ma la polizia non si sbottonò prima di avere delle informazioni dettagliate: “Di che marca è la canoa? È di fabbricazione tedesca delle industrie Klepper, lunga 4 m. 60, larga 65 centimetri, con telai in legno chiaro che formano il ponte? Ci sono due vani, uno nella parte anteriore, l'altro nella parte posteriore? Quante vittime ci sono a bordo? “Una giovane donna sulla trentina, altezza 1 m. 55. Sottile. Capelli ossigenati. Anello in platino sull'anulare sinistro”. “Cosa avete trovato a bordo?” “Bussole, un giornale di bordo illeggibile, mappe della Corsica, una sciarpetta da uomo, una stufetta portatile, una borsa da donna contenente fotografie, un passaporto ... “Il passaporto della vittima?” . “Si legge male. L'acqua del mare ha strappato le pagine”. “Qualcosa?”... - È Mariette Cavanniez o Caravaniez, francese, 28 anni. vive a Parigi.”
E da Parigi giunse subito questo annuncio: “E' Henriette-Irène Caravaniez. 28 anni, la prima modellista della maison Charlotte Révyl, impiegata presso la maison, la compagna di Alain Sabouraud, partiti assieme per Monaco il 15 agosto.
E da questo momento in poi iniziarono ad essere noti i primi elementi del dramma, nonostante una comprensibile pausa di qualche giorno.
“La crociera di Alain Sabouraud, anticipata come un audace romanzo d'avventura, si era conclusa con un enigma e raramente un mistero era risultato così drammatico”.
Una serie sfortunata di prime osservazioni, fatte non appena il cadavere in avanzato stato di decomposizione era stato portato a terra, aveva influenzato i tanti curiosi presi dall'emozione del momento.
Un praticante locale, il dottor Heracle Ellonore, ad alta voce, di fronte a questa folla incredula e attonita, aveva asserito che una piccola ferita nerastra, presente nel collo del cadavere poteva essere stata prodotta da una pistola. Le mille ipotesi che produssero le redazioni dei giornali italiani per le strade di Genova andarono dalla più romantica alla più improbabile.
La canoa semidistrutta era stata trasportata da una squadra di volontari, senza nessuna delle abituali precauzioni ai fini dell'indagine, nel cortile della caserma dei carabinieri di La Spezia, dove rimase due o tre giorni abbandonata in bella vista, facilmente accessibile ad una folla di curiosi.
Era in condizioni terribili. Solo lo scafo aveva resistito. I due galleggianti di poppa e di prua così come gli stabilizzatori pneumatici fissati sui lati della canoa grazie ai quali ne veniva assicurata la stabilità erano gonfi, il che aveva impedito il ribaltamento della barca. Ma la struttura in legno aveva parzialmente ceduto e lo scafo, senza rompersi, in alcuni punti aveva ceduto, come se fosse stato colpito da violenti urti contro rocce o frangenti.
I due alberi erano rotti, le derive e le vele erano state strappate via dalla tempesta disseminandole nel ponte. Tutto indicava una lotta furiosa, una disperata resistenza della fragile canoa che veniva brutalmente sopraffatta dalla tempesta e si impennava fino alla morte per non essere sopraffatta.
I commenti attentamente ponderati del professor Ugo Pardi e del giudice istruttore Sclafani furono perfettamente concordi. “L'autopsia del cadavere della signorina Caravaniez, contrariamente a quanto asserito dall'eminente praticante italiano, non ha rivelato nulla di anormale. Si è trattato di una morte naturale. Non parliamo di spari, per favore. La ferita esaminata, e che ad alcuni a prima vista è apparsa sospetta, era in realtà solo una ferita superficiale del collo che interessava solo la regione cutanea, e probabilmente prodotta da un urto durante il ribaltamento della canoa. E il giudice istruttore Sclafani confermò che il cadavere non era affatto legato al fondo della barca. Le funi cadute sulla vittima, durante la tempesta, avevano semplicemente lasciato l'impronta sul cadavere in piena decomposizione. Queste impronte avevano generato gonfiori che, ad un esame superficiale, avrebbero potuto far pensare ad una ferita d'arma da fuoco.
D'altro canto, dopo che il compagno della donna era scomparso in mare, il che è probabile, è possibile che ella abbia tentato di cambiare posto per manovrare la canoa cercando di raggiungere la parte posteriore poiché era posizionata davanti.
Le cause della morte della sfortunata donna mi sembrano facili da stabilire: "morte sopraggiunta successivamente ad una sincope prodotta dal terrore e aggravata dal digiuno.”
Queste conclusioni, ovviamente, sono molto distanti dalle fantasiose supposizioni faticosamente costruite da “giornalisti” amanti dello scandalo.
Ma, così com'è, il dramma è semplicemente terribile.
Due giovani, con tutto il loro entusiasmo e tutto il loro ardore, rispondono con una sorta di entusiasmo eroico al richiamo del mare. E la tempesta infrange le loro speranze e travolge il loro destino.
Miraggio, miraggio terribile e deludente dello sport, che a volte uccide il più virile, il più ardito, anche il più orgoglioso dei giovani di oggi
...
F. DUPIN.